Il nipote di Sivocci racconta Antonio, compagno del nonno all’Alfa Romeo
Se dopo 100 anni siamo ancora qui a raccontare una persona, vuol dire che quella persona ci ha tramandato qualcosa che rimarrà nella nostra memoria ancora per molto, probabilmente per sempre. Cent’anni fa se ne è andato Antonio Ascari, il padre di Alberto che poi divenne due volte campione del mondo di Formula 1. Antonio gareggiò e vinse sulle piste di tutto il mondo all’inizio del secolo scorso, soprattutto al volante di un’Alfa Romeo. Ma non è dei suoi successi che voglio raccontarvi, quelli sono stati descritti su libri, riviste e naturalmente sul web. Quello che voglio raccontare è il rapporto che ha avuto con mio nonno Ugo Sivocci, anche lui pilota in quegli anni: assieme trascorsero i loro migliori anni, ricchi di entusiasmo e passione sportiva. Antonio Ascari nacque a Bonferraro di Sorgà, in provincia di Vercelli, il 15 settembre 1888 da una famiglia di commercianti. Da sempre appassionato di motori, quando si trasferì a Milano, trovò lavoro come meccanico alla De Vecchi; era il 1907. Qui conobbe Ugo Sivocci, all’epoca capo-officina e collaudatore di pochi anni più anziano, del quale quest’anno, il 29 agosto, saranno trascorsi 140 anni dalla sua nascita. Tra i due ci fu subito intesa e quegli inizi, pieni di ardore per entrambi, contribuirono a far nascere rispetto e amicizia reciproca. La Soc. De Vecchi, tanto ambiziosa quanto innovativa, per rafforzare il proprio nome mirava a farsi strada nel mondo delle corse e Sivocci divenne presto suo pilota ufficiale, assieme a Alberto Marani (detto Gloria).
Anche Ascari era affascinato dalla velocità e ne fece parola a Ugo il quale, avendone intuito doti e determinazione, non esitò a parlarne con il proprietario Giuseppe De Vecchi, proponendogli di “provare l’Antonio come pilota”. Detto e fatto. Con il numero di gara 13, Antonio Ascari fece il suo esordio nel mondo delle corse al Criterium di Regolarità di Modena del 1911, pilotando una De Vecchi Tipo A 16/20 Hp con motore 4 cilindri. Non fu un’occasione fortunata: Ascari, pur mostrando buona tecnica, fu costretto al ritiro per noie meccaniche. Il ghiaccio però era rotto e da quel momento nacque l’Antonio Ascari pilota! La guerra interruppe l’attività sportiva e conseguentemente la loro frequentazione divenne difficoltosa, anche se non si interruppe mai, abitando entrambi a Milano.
Terminato il conflitto, la De Vecchi a causa di una importante crisi finanziaria, fu costretta a cedere l’attività a nuovi soci, che cambiarono il nome in C.M.N. Ripresero anche le gare, con Sivocci in C.M.N. e Ascari nel frattempo passato alla Fiat. I due si ritrovarono quindi alla Parma-Poggio di Berceto del 1919, da avversari. Antonio fu il vincitore di quella gara con i complimenti di Ugo, che, confermando le sue doti di altruismo e generosità, in quella stessa corsa portò al debutto un ancora sconosciuto Enzo Ferrari, del quale, come era già avvenuto anni prima con Ascari, aveva intuito le doti non comuni. Il loro percorso comune sembrava quindi destinato a interrompersi. Il destino però aveva in serbo una bella sorpresa e, nel giro di pochi mesi, si ritrovarono tutti e due in Alfa Romeo, con anche Ferrari e Giuseppe Campari. Nacque quell’anno, era il 1920, la leggendaria Prima Squadra Corse del Portello: i 4 moschettieri. L’Alfa Romeo cominciò a essere competitiva ai massimi livelli e alla 14esima Targa Florio del 1923 sembrava proprio essere Ascari a dover dare all’Alfa Romeo la sua prima importante vittoria internazionale. I due amici si diedero battaglia a bordo delle loro Alfa Romeo RL; al termine del penultimo giro Ugo era primo, ma nel turno finale Antonio passò decisamente in testa, ma quando era ormai sicuro della vittoria la sua vettura si fermò improvvisamente. I box erano talmente vicini che i meccanici accorsero immediatamente in suo aiuto; l’auto ripartì e, con pure loro sulla RL n.10, Ascari tagliò per primo il traguardo. Vittoria? No! Con tutte quelle persone a bordo il regolamento non è rispettato e Ascari, se non vuole essere squalificato, deve tornare dove si era fermato e riprendere da lì la gara, in un assetto conforme al regolamento. Così fece, ma nel frattempo sopraggiunse Sivocci che gli soffiò all’ultimo una vittoria altrettanto meritata.
Il Quadrifoglio verde, che proprio Ugo volle far dipingere sulle RL alla vigilia di quella gara, fece da ornamento alla prima prestigiosa vittoria alla Casa del Portello. Ai tempi odierni cosa succederebbe dopo un arrivo così rocambolesco? Probabilmente l’invidia, gli interessi economici e la concorrenza reciproca, porterebbero a liti furibonde tra compagni di squadra. Ma a quei tempi i piloti erano chiamati gentlemen drivers e non per niente Gabriele d’Annunzio, con la sua prosa immaginifica, li descriveva come “i figli dell’Acciaio e della Fiamma, abolitori del Tempo e dello Spazio”. Conseguentemente, con naturalezza e vera amicizia Antonio fu il primo a complimentarsi con Ugo e fu sempre lui a stappare una bottiglia di spumante con cui festeggiare quella prima storica vittoria, assieme a tutta la squadra Alfa Romeo. La loro era sempre più una vera amicizia, destinata però a spezzarsi presto. Pochi mesi dopo, l’8 settembre 1923 a Monza, durante le prove del primo Gp d’Europa, Sivocci ebbe un incidente mortale e l’Alfa Romeo si ritirò dalla competizione in segno di lutto. Antonio era proprio dietro di lui e vide la debuttante Alfa Romeo GPR (P1) slittare sull’asfalto bagnato, per andare poi a sbattere contro un albero. Fu il primo ad accorrere, ma lo trovò ormai immobile. Fu lui a raccogliere l’ultimo respiro dell’amico, come racconta anche l’ing. Nicola Romeo nel descrivere quella tragica mattinata, in una lettera indirizzata al giornalista Luigi Freddi, del “Popolo d’Italia”. “…pensi che Ascari, che veniva 500 metri dietro Sivocci, lo ha sollevato col cranio spaccato, senza poter dall’amico e compagno avere nemmeno un’ultima parola…”. Lo stesso tragico destino avrebbe raggiunto Antonio solo 2 anni dopo.
Nel 1925 si stava svolgendo il primo Campionato del mondo Marche e l’Alfa Romeo, con Antonio Ascari quale suo pilota di punta, era in lotta con le vetture americane per la conquista del titolo. Un mese prima Ascari aveva vinto a Spa e si apprestava a bissare il successo sul circuito francese di Montlhéry, alla guida della nuova formidabile P2, vettura progettata da Vittorio Jano e che lo stesso Antonio aveva già portato alla vittoria l’anno prima nel Gp di Monza. Era in testa quando un incidente, la cui dinamica non venne mai del tutto chiarita, fece capovolgere la vettura al 23esimo giro e Ascari spirò durante il trasporto in ospedale. Era il 26 luglio. La Squadra Alfa rinunciò a quella gara, ma le corse, come la vita, devono continuare e il 6 settembre si disputò il Gp d’Italia che vide la vittoria della P2 di Gastone Brilli-Peri e la conquista di quello storico primo campionato del Mondo Marche, anche per merito dei punti conquistati in precedenza da Ascari. Anche in quel momento di euforia, nessuno aveva dimenticato i colleghi morti in quegli anni e lo dimostra la frase che il vincitore pronunciò nell’immediatezza della sua vittoria: “Pensavo ad Ascari, a Sivocci, a tutti i nostri morti e sentivo che essi mi comandavano di vincere”. Antonio Ascari riposa ora nel cimitero Monumentale di Milano, accanto a suo figlio Alberto, il 2 volte Campione del mondo, deceduto nel 1955 a Monza, alla stessa curva del Vialone che si portò via Ugo, il suo amico della prima ora. Quella curva venne poi chiamata “Curva Ascari”, proprio in onore di Alberto.
di Giorgio Sivocci Nipote di Ugo Sivocci, compagno di squadra di Alberto Ascari e grande amico di Enzo Ferrari.