La linea dei nemici, i carnivori, ormai è spezzata, la sensibilità verso gli animali è in aumento. È il momento di abbandonare i ricatti emotivi nel nome di una purezza che nel nostro sviluppo, e anche in natura, non c’è
Cari amici vegani, ho la sensazione che la vostra battaglia sia a buon punto. Sono quasi sicuro che avete vinto. Ovvio, non qui e ora, il mondo richiede ancora molta carne e ancora tanta ne richiederà in seguito, ma da qui in poi la strada è in discesa, la linea nemica, quella carnivora e specista è rotta.
Ve ne sarete accorti anche voi, la sensibilità verso gli animali è in aumento. Io stesso che ho sessant’anni e sono onnivoro, ormai mangio pochissima carne, quasi niente, e quando mangio la bistecca non provo quel piacere che provavo da giovane. Io stesso (e mi considero rappresentante in una fascia di popolazione che vista l’età e la crisi demografica occuperà il mondo) mangio ancora pesce, ma rifiuto categoricamente il polipo, perché è un animale intelligente, lo si capisce subito.
Va bene, sono consapevole che dividere gli animali in intelligenti (non sacrificabili) e meno intelligenti (sacrificabili) è una forza soffusa di specismo, ma perlomeno, rispetto al passato questa mia nuova sensibilità mi permette di fare un passo in avanti verso la comprensione di una disciplina e di un pensiero (appunto il veganesimo) fino a ieri distante da me.
Io stesso, ancora, guardo di continuo reel sugli animali che siano papere che stuzzicano gatti, gatti che stuzzicano cani, cani che hanno proprio comportamenti umani, primati che sicuro stanno meglio di noi (o sono meglio di noi), elefantini appena nati che abbracciano con la proboscide gli umani, maiali che sembrano umani e umani che girano e diffondano reel siffatti perché convinti che gli animali ci assomigliano, hanno sensibilità e intelligenza. Dunque, vanno preservati da quelli che, con arroganza e poca sensibilità, li sfruttano.
Sempre tenendo me come esempio, basta considerare com’ero e come sono diventato – tipo, ero quello con la smorfia ironica e sdegnosa disegnata sul viso quando si sedeva a tavola con il vegano, ora invece rifuggo ogni ironia, anzi faccio tesoro della presenza di un convitato vegano per capirci di più. Insomma, visto e considerato quanto sopra, vi consiglierei di sfruttare questa inerzia, godervi la discesa, insomma di non esagerare.
Esagerare significa dividere ciò che è buono e giusto da ciò che non lo è (tipico atteggiamento del moralista severo). Anche perché tutto questo predispone il vegano ad attaccare il prossimo, maltrattandolo non poco (voi dite a fin di bene) chiamandolo mangiatore di cadaveri, accusandolo di nefandezze varie, e solo perché si era avvicinato al banco della carne in cerca del petto di pollo. Magari da cucinare al parente ammalato, come aveva consigliato il dottore: un petto di pollo con un filo d’olio.
Siete in effetti anche quelli che mostrano video di orridi allevamenti intensivi (anche se oggi gli allevamenti sono molto migliorati, e in alcuni casi virtuosi si costruiscono stalle dotate di ogni comfort) vi siete sperticati (anche se siete pro Pal) in paragoni estremi, per esempio la vicinanza tra l’Olocausto e gli allevamenti intensivi. Alcuni di voi hanno citato i bellissimi racconti di J. M. Coetzee, la vita degli animali, dove il personaggio inventato dallo scrittore Coetzee, una donna minuta e combattiva, Elizabeth Costello, con una serie di argomenti emozionanti e micidiali mette in crisi le nostre convinzioni (non nego che appassionato di Coetzee come sono quel racconto ebbe a suo tempo un effetto sulla mia convinzione onnivora).
Avete fatto tutto questo e voi dite a fin di bene, ma dovete convenire che la strada dell’inferno è lastricata da quelli che fanno le cose a fin di bene. Inoltre, con questi attacchi al prossimo, voi avete tentato (ed è il vostro peccato originale) di estorcerci delle emozioni, insomma, non ve le siete guadagnate, ci avete ricattati. Il ricatto sul breve periodo funziona, sposta l’elettorato ma su molti ricattati poi si è verificato uno nuovo spostamento verso la carne. Molte persone sono tornate alla dieta onnivora. Forse, quell’“a fin di bene” a cui ci avete costretti, quel “se non ora quando”, quelle complicità con i fautori dell’Olocausto (che attribuite agli onnivori), sono sembrati appunto un ricatto emotivo da cui prendere le distanze.
Non avete bisogno di questo armamentario. Anche perché questo genere di armamenti spingono verso un malsano e questo sì, innaturale, concetto di purezza. La purezza impone sia insopportabili predicatori sia inquietanti controllori. Ma poi la purezza è estremamente escludente, è un po’ come la bellezza, inguaia il mondo proprio perché vorrebbe salvarlo (a parte la onnipresente e sbagliata citazione di Fëdor Dostoevskij).
Con la purezza, le cui argomentazioni sono così tranchant, vengono meno tutte quelle sane descrizioni che (invece di giudicare) individuano gli elementi della natura umana: come siamo fatti, quali sono le nostre potenzialità e i disastri che in nome di queste potenzialità spesso causiamo.
In fondo, proprio da queste descrizioni (libere dal concetto di purezza) sono venuti fuori gli interessanti e innovativi ragionamenti antispecisti a cui dobbiamo il rafforzamento della nostra sensibilità verso gli animali (comunque la si pensi, per la qualità di alcuni filosofi, queste argomentazioni sono perlomeno un ottimo e sano modo di allenare la mente al dibattito).
Dunque, non c’è bisogno di ricattare il prossimo con l’idea di purezza. Il mondo sta cambiando e il veganesimo si serve proprio delle strade che il cambiamento, con lentezza, sta cominciando a gettare. Un primo cambiamento, primo in ordine di tempo, ma rivoluzionario per molti aspetti è stato il cambiamento dell’agricoltura. Non ne abbiamo memoria e quindi tocca ripeterlo spesso: i nostri nonni hanno vissuto una vita molto vicina a quelli dei nostri avi, quelli che sono vissuti millenni or sono. L’agricoltura per motivi tecnici su cui non mi dilungo è stata una condizione stagnante. Il principale problema in questo genere di agricoltura era la fame e la mortalità infantile. I bambini morivano per febbre e infezioni, bastava un taglietto per andare in setticemia, vista la mancanza di calorie, la prostrazione indeboliva l’apparato immunitario. Ed è vero che la carne era un lusso, ma non certo era un lusso l’allevamento, lo sfruttamento animale per lavorazioni varie. Visto che fino a metà Ottocento la principale forza che muoveva il mondo erano i muscoli umani e animali, più umani che animali. Comunque una parte delle coltivazioni servivano ad alimentare gli animali. Solo nel secondo dopoguerra, cioè qualche minuto fa, rispetto alla millenaria storia del mondo, l’agricoltura è cambiata. Grazie a poche ma efficaci e per alcuni controverse innovazioni (genetica, chimica e meccanizzazione) l’agricoltura è stata in grado non solo di sfamare ma di sostenere la crescita della popolazione.
L’incubo del reverendo Malthus non si è avverato, è cresciuta la popolazione ed è cresciuta la torta a disposizione per la popolazione. Siamo usciti dalla fame e per questo siamo cresciuti e ci siamo moltiplicati, così tanto da arrivare a 8 miliardi nel giro di 60 anni (vaccini, antibiotici, pratiche igieniche, fognature, e pillole per la pressione hanno fatto il resto).
Questa svolta agricola ha cambiato il mondo e ha reso possibile l’impossibile: cibo per tutti. Ora lasciamo perdere se sia di buona o cattiva qualità (perlomeno si può migliorare quello che c’è, la fame è sempre di cattiva qualità), lasciamo perdere se sia frutto delle tradizioni millenarie o corrotto dalla modernità, ma in sintesi, l’agricoltura intensiva ha permesso l’abbondanza ma causato svariati costi, ovviamente. Già vivere è causa di costi ma vivere in otto miliardi è un costo molto grande. Con la varietà di beni agricoli a disposizione di tutti, possiamo permetterci il lusso di scegliere cosa mangiare.
Qualcuno potrebbe allora sostenere che il veganesimo sia un risultato di un paradosso, ebbene è così: la sensibilità verso gli animali è aumentata grazie a pratiche agricole che sono ritenute innaturali e inquinanti: senza la chimica che aiuta a nutrire e proteggere la pianta (sprecare significa anche lasciare il prodotto in campo rovinato dai patogeni), senza la genetica (che ha migliorato le piante, potenziandone alcuni aspetti) e senza la meccanizzazione (che ha anche liberato gli animali dal traino permanente) non potevamo permetterci di scegliere cosa mangiare: mangiavamo quello che passava il convento o le stagioni e sacrificavamo i maiali.
Attenzione: lo so che qualche vegano vede l’origine della pratica non certo in questo angolo di fortunato Occidente, ma in Oriente, millenni fa, sostenuto anche dal buddismo, ma il discorso è sempre lo stesso: la scala demografica. Una cosa è un orto per poche persone una cosa è una coltivazione per miliardi di persone. Poi quelle società erano fondate su un tasso di violenza che oggi non potremmo nemmeno immaginare, dunque sono situazioni non comparabili. Alcuni studi fanno notare che un impianto agricolo completamente vegano potrebbe essere non sostenibile (verdura per tutti è un buono slogan ma prevede anche aerei per portarla su e giù per il mondo) e comunque prevederebbe un’industria alimentare e cibi raffinati. Ma questo è da vedersi, gli studi sulla sostenibilità andrebbero sempre verificati di volta in volta.
Sia come sia, l’importante è che oggi possiamo permetterci di essere vegani, abbiamo cibo e integratori, e la possibilità di scelta è una santa e buona cosa. Per questo il consiglio è di non esagerare. Va considerato il paradosso, la sensibilità è aumentata con l’aumento delle rese agricole. In fondo alcuni paradossi sono anche degli insegnamenti, dalla purezza non nasce altra purezza, semmai un’eccessiva richiesta di purezza porta con sé una dose di violenza.
Ma c’è un altro motivo per cui faccio appello alla non esagerazione. La teoria vegana portata all’eccesso (e basta una richiesta di purezza in più per farlo) sotto la voce sfruttamento non fa cadere solo l’allevamento intensivo, ma anche la domesticazione. Nel corso di millenni e ancora oggi, abbiamo cambiato le qualità e i connotati degli animali, pensate alla distanza che c’è tra l’antenato dei bovino, l’Uro, e i placidi manzi di oggi. L’Uro fece paura nientepopodimeno che a Cesare. Stiamo continuando a domesticare gli animali. Lo facciamo per vari motivi, quasi sempre legati al nostro piacere. Vogliano animali di compagnia, cari, dolci e pucciosi. Così che possiamo mandare on line reel di maialini carini come i tre porcellini, lupi dagli occhi dolci, caprioli che vengono allevati da gatti, serpenti esibiti come trofei. Vogliamo animali da compagnia e spesso otteniamo animali stressati dalla nostra compagnia.
A volte invece, ci cimentiamo in operazioni di rewilding perché ci piace immaginare una natura sì selvaggia ma dove gli animali vivano in armonia tra loro. Una natura così perfetta e ordinata, dove i lupi non sbranino gli agnelli, dove tra gli agnelli non ci siano maschi e femmine dominanti, dove i patogeni non infestino le piante, un mondo armonioso nel quale non solo la morte e i suoi mortificanti disfacimenti del corpo siano banditi, ma anche la vita, con la sua lotta per il possesso e il potere non sia così greve. Ebbene, non c’è nulla di più antropocentrico di immaginare e lottare per un mondo siffatto.
Niente di più antropocentrico immaginare un luogo incontaminato dall’incessante attività umana. Un luogo siffatto per poter esistere necessita di essere controllato completamente dall’uomo. Bene, un vegano radicale potrebbe subire questo conflitto, da una parte lottare contro la domesticazione, sofisticata forma di sfruttamento (un vegano con questa attitudine nei suoi sogni immagina un mondo spopolato da animali domestici), dall’altra sentire il peso del suo sguardo antropocentrico.
Non possiamo vivere senza considerare la nostra semenza: una certa quantità di sfruttamento è la sola pratica che ci permette di vivere (otto miliardi di cittadini, ovvio, se fossimo solo cinque milioni potremmo vivere raccoglitori, ma sarebbe un’altra vita). L’agricoltura è una pratica basata sullo sfruttamento e a poco valgono le raccomandazioni per un’agricoltura bio. Senza concimazioni, senza monocolture, senza proteggere le piante le rese ottenute non sarebbero sufficienti. Ricaviamo poi dalla terra materie indispensabili per vivere in modo più sostenibile. Lo so che la terra non è sensiente, ma pensate a come cambiano gli ecosistemi quando andiamo a dragare sabbia per ottenere silicio, materiale indispensabile per fare un pannello solare. Gli esempi sono tanti, e ognuno di loro dimostra che ogni miglioramento che noi umani registriamo in termini di empatia e sensibilità verso il prossimo deriva anche dal progresso. E tuttavia il progresso porta con sé nuove e spesso inattese forme di sfruttamento. L’avreste detto voi che il sogno di salvare i bambini dalla morte prematura ci ha portati in un incubo? Ora che i bambini sono cresciuti e sono otto miliardi e altre due miliardi sono in arrivo, come li nutriamo? Come forniamo loro energia?
Invece di lottare per la purezza, meglio sarebbe lottare per l’innovazione. I vegani dovrebbero lottare per la carne coltivata, per le biotecnologie, le nuove e non le vecchie pratiche agricole. Per una nuova industria alimentare che ci faccia apprezzare al meglio le proteine vegetali. Un vegano dovrebbe lottare per tutte quelle pratiche capaci di addolcire la natura. Non purificarla, ma addolcirla. Addolcire non ci preserva interamente dallo sfruttamento, di qualunque forma esso sia, ma ci rende più consapevoli del nostro ruolo. Ora, siccome avete già ottenuto buoni risultati e ancora altri in futuro ne otterrete, la mia speranza è che il veganesimo diventi oltre che una pratica anche uno strumento teorico per meglio inquadrare la natura umana: è necessario accettare e addolcire la nostra fisiologica impurezza, accettare e addolcire le nostre fisiologiche pratiche di sfruttamento. Altrimenti c’è il rischio che per essere puri massacriamo il prossimo con un insano e invasivo desiderio di purezza e santità.