Un esercizio di umanità e il piacere dell’imprevisto, Rinunciare alle mappe digitali non è un atto di sterile nostalgia: è allenamento cerebrale e antidoto alla smemoratezza. Perdersi per ritrovarsi, anche grazie agli sconosciuti per strada
Se pare impossibile vivere senza smartphone, dovremmo fare il possibile per farlo senza navigatore. Chiamarlo fioretto, penitenza, missione. Ma al dunque, è un addestramento. Se trattasi di luogo dove si è già stati, lo sforzo di ricordare la strada; se non ci si è mai stati, guardare la mappa online e poi spegnerla, per partire con l’informazione grafica messa in memoria. Per viaggi più lunghi o impegnativi usare la cartacea, da vedere intera e toccare. Perdere tempo, perdersi spesso, ma non cedere al digitale: abbassare il finestrino. E affiancare il primo che capita sul marciapiede. E allungare la testa come un tartarugone. Andare a tentativi. C’è quello che non è del posto; lo straniero non ancora consolidato; quello troppo immerso nelle cuffiette. Ma quello giusto arriva. Scusi capo!? Rapito dalla sua distrazione si ferma, e si avvicina. Sa dirmi dove si trova…? Il lei è da preferire. Lui ripete il nome della strada per farla sua, quindi guarda davanti a sé, poi dietro, a monitorare la zona con il suo radar interiore, indica la direzione con lo sguardo, quindi snocciola i passaggi che ci porteranno dove dobbiamo. Uno scambio all’insegna della gentilezza e della precisione. Le persone alle quali chiedi una strada si sentono responsabili, perché scelte, anche se dal caso; ci tengono a dar sfoggio di competenza e allo stesso tempo sono onorate di servire.
La strada è come la vita, ha una certa solennità; e produce il meglio di ognuno, momenti di incontro tra sconosciuti rarissimi, in altre situazioni. Un ognuno che poi ha la sua diversa memoria visiva, e ti indica la strada a modo suo. Chi tutto prima destra, seconda sinistra, dopo il ponte, come fa la vocina anonima del satellitare; chi invece mette il supermercato, il benzinaio, la trattoria all’angolo come tappe del percorso. Entrambi i casi ti lasciano la fatica di ricordare, ma quella fa parte del gioco. Perché poi anche la voce di donna aliena che ti prende per il volante può portarti altrove: per un nome simile, o per strade troppo nuove e non segnalate: esiste una casistica enorme e buffa sulla questione, per cui conviene perdersi in proprio. Anche perché quando sbagli strada scopri qualcosa di nuovo. E non è mai quello che stavi cercando. Intanto continui a stimolare quella parte del cervello nella quale risiede la capacità di orientare il movimento: l’ippocampo.
È scientificamente dimostrato che anni di occhi fissi sullo schermo del Gps portano alla riduzione del volume di questa parte di cervello. Nei tassisti di Londra, che ricordano più meno 25 mila strade, l’area dell’ippocampo è molto grande; mentre in chi fa uso eccessivo del Gps si riduce fino ad atrofizzarsi. Significa che fai una fatica bestia a orientarti, in qualunque situazione. Certo, la tecnologia ha sempre ridotto facoltà per produrne di nuove, ed è quasi un gioco di compensazione, l’entropia della memoria: alla tecnologia ne chiediamo sempre di più, sempre di più noi ne perdiamo; impossibilitati, per ora, a infilarci una chiavetta nella tempia come moderni Frankenstein. Solo che in questo caso si parla di qualcosa che ci portiamo dentro da quando abbiamo lasciato la caverna alla buon’ora per andare a cacciare qualcosa da mettere sotto i denti. Oltre all’odore, padrone di tutti i sensi, capire da che parte andare e da che parti tornare era obbligatorio per riportare a casa la pellaccia. L’ippocampo per i nostri antenati era un angelo custode. Noi abbiamo sempre la spesa a domicilio, nel caso ci si riducesse a un nocciolino.