In nove mesi 500 persone sono state arrestate e 14 sindaci rimossi. C’è una fascia ampia di popolazione che protesta contro il presidente, “ma se il principale partito d’opposizione non è in grado di porre domande vere e offrire un’alternativa credibile, rischia di perdere consenso”. Intervista a Diego Cupolo, direttore di Turkey Recap
Negli ultimi nove mesi, oltre 500 persone sono state arrestate in Turchia nell’ambito della campagna repressiva lanciata contro il Chp, fondato da Mustafa Kemal Ataturk e oggi principale partito d’opposizione. Oltre al sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, in carcere da marzo, quattordici sindaci sono stati rimossi dai loro incarichi. Il leader del partito, Ozgur Ozel, è indagato per vari reati, tra cui l’aver “insultato il presidente”. A settembre, un tribunale si esprimerà poi sulla possibilità che lo stesso Chp subisca una specie di commissariamento, che porterebbe all’azzeramento dei vertici del partito, gli stessi che a marzo 2024 avevano portato il Chp a superare, per la prima volta in vent’anni, i consensi dell’Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan.
L’offensiva giudiziaria dimostra la direzione che Erdogan intende dare alla Turchia. Diego Cupolo, direttore di Turkey Recap, dice al Foglio: “Chi sfida apertamente Erdogan, oggi, paga. Lo dimostra il caso di Imamoglu, di Ozel, o di Selahattin Demirtas, ex leader storico del partito filocurdo Hdp (oggi noto come Dem, ndr), in carcere da nove anni”. E’ accaduto anche a Umit Ozdag del partito ultranazionalista Zafer Partisi, incarcerato per cinque mesi dopo che a dicembre aveva attaccato Erdogan accusandolo di aver danneggiato il paese.
Gli arresti contro il Chp rappresentano l’ultima fase di un processo che ha già colpito altri segmenti della società turca. La debole tradizione democratica della Turchia e la mancanza di memoria storica in questo senso spiegano anche la scarsa fiducia che le diverse componenti politiche nutrono l’una verso l’altra. In passato – sotto i regimi militari che hanno più volte preso il potere fino all’arrivo di Erdogan – la repressione aveva colpito curdi e islamisti. Oggi tocca ai kemalisti. Per il ruolo giocato dalla Turchia a livello internazionale, nessun attore esterno, né l’Unione europea né tantomeno gli Stati Uniti, ha scelto di intervenire e così, di fronte a una repressione ormai normalizzata, anche le proteste di piazza si sono progressivamente spente. Il partito di governo vuole essere una forza in grado di parlare ai vari segmenti della società, adattando di volta in volta il proprio messaggio. Un contenitore trasversale, dove islamisti, nazionalisti, curdi, kemalisti possano riconoscersi. Ma a una condizione, sottolinea Cupolo: che il baricentro del potere resti Erdogan. Le possibilità di un cambiamento sono dunque molto limitate.
Lo dimostra il caso del partito filocurdo, l’ultimo ad aver sfidato apertamente l’egemonia dell’Akp prima di Imamoglu. Dopo dieci anni di repressione, oggi – nel quadro dell’attuale processo di pace – il Dem è al centro dei tentativi di cooptazione da parte del governo. Per partecipare serve stare alle condizioni del potere. “Guardando al futuro, il Chp dovrà adottare una linea più cauta nei confronti di Erdogan. E’ l’unica strada per evitare ulteriori pressioni”, continua Cupolo. Una traiettoria che è cominciata ad emergere con il sostegno – benché tacito – di Ozel al processo di pace. Il Chp, al contrario dei partiti nazionalisti come Iyi e Zafer, non lo osteggia.
La scelta ha almeno due spiegazioni: il processo rappresenta uno spazio di negoziazione che permette al Chp di mantenere aperto un canale con Erdogan, il quale ha bisogno di un consenso trasversale per portare avanti il progetto di riforma costituzionale e garantirsi la possibilità di ricandidarsi. In secondo luogo, Ozel è consapevole che un’opposizione frontale alla soluzione della questione curda promossa dal governo rischierebbe di alienare il sostegno dell’elettorato curdo, cruciale in vista di un’eventuale sfida alle prossime presidenziali.
Per il Chp, il dilemma è: accettare il compromesso per allentare la pressione sul partito, provando a riabilitare la candidatura di Imamoglu, o alzare i toni e rischiare una repressione ancora più dura. Una linea troppo accomodante potrebbe deludere quella parte dell’elettorato laica e sempre più kemalista che, a causa della crisi economica e del crescente malcontento sociale, si aspetta una vera opposizione dopo essere scesa in piazza la scorsa primavera. “C’è una fascia ampia di popolazione che non vuole Erdogan, ma se il principale partito d’opposizione non è in grado di porre domande vere e offrire un’alternativa credibile, rischia di perdere consenso”, conclude Cupolo. Al momento, però, non si vede una direzione chiara. E con la regione in pieno mutamento – dall’Iran alla Siria – i precari equilibri interni rischiano di essere incendiati da quanto avviene oltre frontiera.