Mentre il Pd attende il verdetto di Conte, FdI opta per il garantismo: “A noi non interessa se una persona è indagata, noi stessi quando dobbiamo valutare i nostri non lo facciamo in base a quello che dicono i magistrati”
“La vicenda giudiziaria di Matteo Ricci non sarà oggetto di campagna elettorale, cavalcare queste vicende non è nel mio stile”, dice al Foglio Francesco Acquaroli. La cui linea, dunque, pare all’incirca la stessa di Giorgia Meloni su Beppe Sala a Milano. Temperato garantismo e fisiologica presa di distanza. “Quest’inchiesta – aggiunge il governatore delle Marche – non ci interessa, non ci riguarda”. L’esponente di Fratelli d’Italia, e candidato per il secondo mandato, lascia quindi che l’avversario Matteo Ricci s’occupi dei suoi panni (sporchi o puliti) in famiglia. E cioè nel suo partito, il Pd. E ancor più nel rapporto con l’alleato, il Movimento 5 stelle. Il quale – con meno misericordia degli avversari – sembra oramai vampirizzare i soci dem.
Mentre Conte li tiene perciò sospesi – ovvero appesi alla sentenza che di Ricci vagli la probità – in FdI se pure si gongola, non si dà a vedere. Giovanni Donzelli – che ieri era a Senigallia a un’iniziativa del partito a sostegno del governatore uscente – fa così eco al suo candidato: “L’avviso di garanzia a Ricci? A noi non interessa se una persona è indagata, noi stessi quando dobbiamo valutare i nostri non lo facciamo in base a quello che dicono i magistrati. Ci sono parlamentari che senza avviso di garanzia abbiamo accompagnato alla porta perché non eticamente degni. Loro possono scegliere chi vogliono. Noi siamo sereni del nostro governatore Acquaroli”.
Acquaroli che perciò si astiene dal calcio dell’asino. “Non è nel mio stile”, ripete al Foglio. Precisando di non aver mai commentato una vicenda di cui tutti erano a conoscenza da oltre un anno. Ed evidentemente sapendo, insieme a Donzelli, che il Campo largo è già minato di suo. E pensare che mentre Conte è adesso alle prese coi fascicoli e gli alambicchi dell’etica, qui, era già tutto previsto. Qualcuno l’aveva detto, anzi predetto, che forse Ricci non sarebbe stato il candidato più giusto o più fortunato per l’alleanza a sinistra. Non proprio un quadrifoglio di questo Campo largo. Italo Bocchino, direttore del Secolo d’Italia e ora spin doctor di Acquaroli, l’aveva annunciato su queste pagine poche settimane fa: “Le notizie sull’inchiesta giudiziaria denominata Affidopoli – diceva – e la freddezza con cui Schlein si trascina nelle Marche, mi fanno pensare che il nome di Ricci potrebbe non essere quello definitivo”.
Profezia, questa, che fa il paio adesso con ulteriore pensiero magico. Nelle ultime ore – tra le indagini di Conte e il garantismo dei meloniani – arriva infatti Matteo Renzi. Il leader di Iv e alleato di Ricci (a sua volta ex renziano), che s’interroga circa il grande quiz dell’estate: “Bocchino ha rapporti con qualche toga bruna oppure è semplicemente un profeta visionario che la società inspiegabilmente non riconosce come grande veggente?”. Dilemmi dell’estate enigmistica… Ricci definisce Bocchino “inquietante” e rassicura più che può Conte. E dunque la polemica monta, fintanto che Acquaroli decide di non cavalcarla. “Non l’avrei fatto l’anno scorso e non lo farei due giorni dopo le elezioni”, dice. E poi aggiunge: “Non lo farei mai. E’ un fatto di principio”. Garantismo e mitezza marchigiana. Bilanciata, comunque, dal cinismo di Donzelli: “Conte alla fine dirà che con Ricci tutto va tutto benissimo. Scommetto un abbonamento al Fatto quotidiano”.