Dai fumetti “de sinistra” al suo primo romanzo, che parla di sesso senza processo al maschio
D’estate c’è la transumanza degli scrittori. Ora che ho un romanzo da presentare anche io li incontro alla stazione, col caldo. Siamo quasi tutti soli. Aspettiamo treni che ci portano in qualche festival letterario, chi al nord, chi al sud, i più fortunati nelle isole”. Disegnatore, fumettista, regista, Gipi mi racconta il suo primo romanzo senza disegni e il grand tour estivo di presentazioni. Dopo tanti successi e consensi nel campo della “graphic novel”, ecco un’impresa da “vero scrittore”, anche se “scrittore” non si considera proprio: “Per carità, non mi paragonerei mai agli scrittori veri”. Gli scrittori veri sono quelli che incontra a Roma Termini o Milano Centrale, zaino in spalla. Vanno e vengono da qualche Festival che li ha invitati sei mesi fa. Era gennaio. Lo scrittore vero ha pensato “perché no! Mi faccio tre giorni al mare, correggo le bozze del libro”. Poi si è pentito: “Ma chi me lo ha fatto fare, ma dov’è questo posto, e se non c’è il wifi, ma quanti treni devo cambiare?”, ma ormai è tutto prenotato, tutto organizzato. Si deve andare. “Coi fumetti si gira meno”, mi spiega Gipi, “i fumetti hanno due grandi raduni l’anno, Lucca Comics e Napoli Comicon”. Il romanzo invece ha questo tour de force estivo che può essere micidiale. Una volta d’estate si leggeva. Ci si portava i libri al mare. Ora ci mandano direttamente gli scrittori in ciabatte. Ecco allora le transumanze. “Ci si incontra all’andata, poi magari al ritorno, dopo qualche giorno, sfatti, stanchi, sudati. In una di queste mie transumanze mi sono imbattuto in un altro transumante, Nicola Lagioia”, dice Gipi. “Gli voglio molto bene ma non mi aveva visto, allora gli ho teso un agguato da dietro, non ho resistito. Ho fatto la voce da carabiniere… ‘favorisca-i-documenti-per-favore’. Quasi gli prende un colpo. Poi si è messo a ridere, ma ci era cascato”. Sarà la tensione che c’è nel paese. “Ecco il fascismo, mo’ ci arrestano tutti”, avrà pensato Lagioia. Scurati, per dire, ci restava secco.
Gipi, che all’anagrafe si chiama Gianni Pacinotti, ha scritto un romanzo senza disegni che si intitola “Zaky e gli altri”, per La Nave di Teseo. Ci incontriamo a pranzo, nella wilderness del GRA, in un casolare sperduto nei campi, una situazione molto “estate romana” come in un Verdone anni Ottanta: io e lui da soli, il cameriere, la canicola, la luce che è troppa, le cicale a 120 decibel che quasi coprono le chiacchiere. Gipi sa che non sono un grande esperto di fumetti ma tra le tante cose che apprezzo di lui c’è il fatto che si può continuare a chiamarli “fumetti” e non “graphic novel” che fa un po’ ridere. “Si chiama fumetto”, dice Gipi, “anche perché graphic novel semmai è un formato”. Grazie. A questo romanzo ha lavorato in più riprese, cominciando oltre dieci anni fa. Mollando, riprendendo, facendo altro. “Non pensavo di pubblicarlo. Era diventato il mio sfogo per la ‘cosa’ che stavo passando”. La “cosa” è una disfunzione erettile di cui soffriva in quel periodo per una malattia. Una vicenda raccontata da Gipi in quel gran fumetto che è “La mia vita disegnata male”. “Ma era una condizione assolutamente transitoria. Anzi, ti pregherei di specificarlo nel pezzo, in grassetto, in corsivo”. Gli prometto che lo editiamo in caps lock, più grande di “genocidio” nel libro di Rula Jebreal. Dunque: era una disfunzione erettile transitoria. Ma è stata anche una grande fonte di ispirazione.
In “Zaky e gli altri” il pene è fondamentale. L’ispirazione è autobiografica: una disfunzione erettile transitoria
In questo “Zaky e gli altri” il pisello è in effetti fondamentale. Lo si intuisce già dalla copertina. “Mi avevano chiesto un disegno, ma non volevo farlo. Però avevo sempre pensato che dovesse esserci un pisello. Ne ho fotografati tanti: nei cessi dell’Autogrill, sui muri. Poi sono andato sul litorale di Ostia e mi sono messo a disegnare piselli sulla spiaggia. Spero davvero sia passato il satellite di Google Maps perché avrò fatto qualcosa come 150 piselli in sequenza”. E mentre Gipi era preso in questa performance à la Marina Abramovic, ecco che arriva l’onda e si mangia mezzo pisello disegnato sulla riva. “Marco, il fotografo che era con me scatta nel momento giusto. Era proprio quello che cercavo”. Viene fuori una foto davvero bella. “Quelli della Nave di Teseo non volevano una copertina con pisello, dicevano che i libri con i pipi in copertina non si vendono perché la gente si vergogna a comprarli, a leggerli in treno, in spiaggia. Ma qui il cazzo si vede e non si vede. Sta per scomparire. E’ una metafora proprio terra-terra, me ne rendo conto”. In “Zaky” il sesso è un’ossessione, una malattia, una terapia vitale, una forma di autodistruzione. Il linguaggio è crudo, diretto, ritmico. La scrittura di Gipi ti arriva addosso con la stessa forza dei suoi disegni. “Senza saperlo, perché da ignorante quale sono ha dovuto dirmelo il mio editor, ho usato il trapassato prossimo e quel tempo verbale aveva il suono che cercavo”. La scrittura restituisce la vitalità disperata di un gruppo di ragazzi, maschi, che cercano un proprio posto nel mondo. C’è l’amore, naturalmente. C’è il porno, che nell’èra di Internet ha cambiato il nostro rapporto con il sesso. In fatto di porno Io e Gipi ci siamo formati sul cartaceo. Oggi è diverso. Performance, pretese, aspettative, dimensione agonistica. Ragazzini che al primo appuntamento chiedono alla fidanzatina, “ma te squirti?”.
Al centro del romanzo un gruppo di giovani che cercano un posto nel mondo. “Col porno di oggi io da ragazzo sarei morto”, dice Gipi
“Col porno di oggi io da ragazzo sarei morto”, dice Gipi, “una cosa ingestibile, altro che diventare cieco. Un’interruzione di ogni processo di sviluppo. fisiologico”. Conveniamo che bisognerebbe educare i ragazzi al vecchio porno anni Settanta-Ottanta, più abbordabile. Come in quei progetti di “cinema per le scuole” in cui scoprono Visconti, Fellini, Chaplin, il bianco e nero. Come forse avrete capito, in “Zaky” non c’è il messaggio, la morale, la lezione esemplare. Non c’è il processo al maschio. “Non trovo niente di sbagliato nella mascolinità”, dice Gipi, “e sono contrario alle narrazioni sulla ‘mascolinità tossica’ o sul fatto che i giovani uomini abbiano qualcosa di sbagliato nel loro Dna. Mi sembra una roba distruttiva per la società e piuttosto crudele verso le persone. Ma non ho certo scritto il libro a sostegno di queste idee. Un romanzo ha a che fare con personaggi e vicende che ti devono catturare e basta, altrimenti ti leggi un trattato di sociologia”. Non un romanzo candidabile allo Strega, quindi. Del resto allo Strega ci era già finito con una “unastoria”, tutto attaccato. Il primo romanzo a fumetti a entrare nel gran premio letterario. Era il 2014. Apice della legittimazione culturale della “graphic novel”. Cresceva il successo di Zerocalcare che è un po’ figlio (non biologico) di Gipi. “Entrai solo nella dozzina dello Strega. Ma pensavo e penso ancora fosse una cosa assurda. Come candidare un film al premio Ubu.” Si ricordano infatti grandi polemiche, risse sui social. Può un fumetto vincere lo Strega? E se sì perché sì e se no perché no? “Sia chiaro, io di tutta quella baruffa ero felicissimo: vendevo un sacco di copie, il mio editore era raggiante. Lasciavo fare. Quindi ho fatto tutto quello che dovevo: andavo in pullman con gli scrittori della dozzina, tour, presentazioni, ma mi sentivo come la mascotte del premio”. Questo però “succedeva quando andavo di moda”, dice Gipi. E’ una cosa che specifica spesso nella nostra chiacchierata.
C’è stato un tempo in cui tutti volevano Gipi, il fumetto era entrato in zona Fabio Fazio, nel regno dei Giusti. Poi lo ha chiamato Calenda
C’è stato in effetti un momento, anzi una lunga fase in cui tutti volevano Gipi e Gipi era ovunque. Gipi spianava la strada al fumetto che diventava definitivamente un oggetto culturale “de sinistra”, a uso e consumo dell’industria dell’indignazione. D’accordo, c’era già stato Andrea Pazienza. Ma era ancora tutto un po’ “underground”, controculturale, ai margini. Ora il fumetto entrava in zona Fabio Fazio. Puro mainstream progressista. Gipi entrava nei Giusti. “Vengo invitato da Bignardi e lì mi rendo conto che l’attenzione intorno a me sta cambiando. Poi a Venezia, alla fine della proiezione del mio film, applaudono per quattordici minuti. Quattordici minuti! Ho sempre pensato che gli applausi non potevano essere per il film, che è una cosa davvero piccola, ma per quello che forse rappresentavo o che, mio malgrado, incarnavo”. Quindi rubriche, collaborazioni, ospitate ovunque, Gipi riferimento politico e pop. Climax: lettura dei nomi dei migranti morti a un Festival di Internazionale. “Quei morti erano solo numeri, dati, statistiche, io volevo dargli un nome, mi sembrava una cosa giusta. Avevo fatto due calcoli: la lettura sarebbe durata due giorni e mezzo, non avrei mangiato, non avrei bevuto, quindi immaginavo a un certo punto, essendo una mezza sega, di svenire sul palco. E quest’idea di non riuscire a rimanere cosciente per il tempo necessario a leggere tutti i nomi delle persone morte in mare nella mia testaccia aveva un significato. Una specie di messa. Una cosa più cristiana che progressista. Ma era una cosa che non incideva in alcun modo sulla realtà. Serviva solo alla mia coscienza. Siamo qui a commuoverci per questa tragedia e a un certo punto sverrò. Ricordo che c’era una coppia di ragazzi in prima fila che piangevano. Erano autentiche quelle lacrime? Non posso saperlo. Però, secondo me, a un certo punto non si capisce più la differenza. Entrano in gioco altre cose. Entra in gioco ‘l’emoziocrazia’, l’idea che i sentimenti siano più importanti della ragione. Un bel guaio.” (P.s.: alla fine la lettura durò quattro ore. In alcuni casi i nomi non c’erano, avevano consegnato a Gipi pacchetti di fogli coi decessi riassunti in formule generiche tipo “trecento cinesi morti in un container”, “centotrenta siriani” a largo di qualche costa, ecc…).
Come Jack Frusciante dal gruppo, a un certo punto Gipi è uscito dai Giusti. “Le cose in realtà sono cambiate quando è morta mia madre. Lì c’è stato un clic, qualcosa. Continuavo a lavorare, facevo roba di satira a Propaganda Live, ma qualcosa si era rotto. Era comunque un’amarezza ancora personale.
In quel periodo faccio un libro che si intitola, ‘Momenti straordinari con applausi finti’ che credo dica già come stavo. Poi però c’era anche altro. C’era questo clima che sentivo montare a sinistra, un certo desiderio di controllo delle parole, un venticello di pensiero totalitario. Io ero abbastanza seguito su Twitter ma ora dovevo stare attento a quello che scrivevo. Se per esempio dicevo che non mi sentivo di sinistra, un po’ per giocare, un po’ anche per smontare questo personaggio che mi si era cucito addosso, le cose prendevano subito una piega inquietante. E poi succede questa cosa assurda: un giorno mi chiama Calenda”. Gipi mi racconta che viene contattato da Calenda per questa nuova forza politica riformista, e per prima cosa Calenda gli invia il programma. Vuole sapere se Gipi fosse disposto a dargli una mano, forse sui social. “Tu capisci, io ho fatto l’artistico, non so nulla di politica, sono un ignorante, e mi ritrovo al telefono con Calenda. La cosa mi inorgoglisce. Penso a mia madre, penso a che soddisfazione sarebbe stata per lei, a poterlo dire a alta voce sul bus numero due, verso la stazione. Sono i sogni di gloria del provinciale, quelle cose lì. Aggiungici anche che poi tendo sempre a dare ragione a chi mostra una qualche considerazione di me, ho pure quel problemino lì, anche questo molto classico”. Quindi Gipi legge Calenda, si ritrova d’accordo con un bel po’ di cose e lo scrive su Twitter, “ragazzi sapete che questa cosa di Calenda non è male…”. Apriti cielo.
Il martire di Internazionale, l’eroe civile di Propaganda Live diventa un paria, un infiltrato a sinistra che si rivela un riformista. E cioè un fascista
L’immagine di Gipi, martire di Internazionale, eroe civile di Propaganda Live, si distrugge in mezzo pomeriggio. Era diventato un traditore. Un paria. Un infiltrato a sinistra e che ora rivelava la sua vera natura riformista, cioè fascista. “Un diluvio di insulti. Messaggi in posta di chi si sentiva illuso, di chi ‘aveva creduto in me’, cose del genere”. A quel punto il piano si inclina. Le cose iniziano a rotolare. E Gipi non fa niente per invertire la traiettoria. “Ho sempre pensato di meritare quel disprezzo. Perché quell’aggressività era una cosa che era stata anche mia, in passato, quando ancora ero nella squadra dei buoni, contro persone di opinioni diverse dalle mie. Un contrappasso. Ricordo una presentazione di un libro in cui a un certo punto dico, ‘metà del mio cuore la uso per odiare il nazifascismo, l’altra metà per odiare il comunismo’, e sulla seconda metà cala il gelo, sguardi attoniti, imbarazzo in sala. Ma da lì in poi ne succedono un po’, anche perché nel frattempo il woke dilagava anche da noi. E quella americanata proprio non faceva per me”. Dopo una striscia satirica ritenuta sbagliata sarebbe bastato un video di scuse, Gipi con gli occhi lucidi, i “Quaderni” di Gramsci in bella vista, ho sbagliato, scusatemi. E invece niente. “Se c’è una cosa, una sola, che per me è davvero importante, è la libertà d’espressione. Ora credo che a sinistra, e ne parlo per lo stupore della scoperta, perché da destra me l’aspettavo già, ci sia una certa fascinazione totalitaria e lo credo anche perché quando ero nella squadra dei buoni, la mettevo in pratica io per primo nei confronti dei pensieri diversi dal mio. Le persone, quando sono convinte di essere nel giusto, senza essere sfiorate dal dubbio, possono cadere in questa trappola. Tutto sta a come controllarla, semmai”. Controllarla non è facile, anche perché come dice Gipi quella dei Giusti è “una vita stupenda”. “E’ bellissimo essere convinti che esista un mondo ideale che non si concretizza solo perché ci sono i cattivi, che se i confini non esistessero tutti sarebbero fratelli, che gli islamisti siano in realtà dei democratici confusi e che ci sia sempre una responsabilità di qualche Sistema per i mali del mondo. Quella roba lì. E’ una roba che ti accarezza la coscienza”. Oltre che dai Giusti, Gipi è uscito dai social. “X non lo guardo da non so quanti anni, non ho idea nemmeno di cosa sia diventato. Però sono rientrato da pochi giorni su Instagram. Lì metto solo i miei disegni. Niente politica. Ma mica so quanto durerò”.