Una settimana fa, l’ultimo grandioso concerto a Birmingham, la reunion con la formazione originale dei Black Sabbath e la somma più grande mai raccolta da un concerto rock di beneficenza. Tutto per la ricerca sul Parkinson, che negli ultimi anni ha afflitto il cantante
È morto Ozzy Osbourne, aveva 76 anni. Lo comunica la famiglia, “È con più tristezza di quanto le parole possano esprimere che dobbiamo comunicare che il nostro amato Ozzy Osbourne è morto questa mattina. Era con la sua famiglia e circondato dall’amore. Chiediamo a tutti di rispettare la privacy della nostra famiglia in questo momento”. Firmato la moglie Sharon e i figli Aimee, Kelly, Jack e Louis.
Senza il Principe delle tenebre, la musica heavy metal non esisterebbe. Non esisterebbe senza i Black Sabbath, che il cantante ha fondato nel ’68 con il chitarrista Tony Iommi, il bassista Geezer Butler e il batterista Bill Ward. Oggi i ragazzi che impazziscono per il dark possono fare riferimento a una moda sofisticata, borchie, nero attillato, trucco pesante. Ma all’epoca quei quattro ventenni di Birmingham erano quanto di meno trendy si potesse immaginare. Al tempo dei figli dei fiori, degli hippie, della celebrazione dell’amore universale, Ozzy e soci accendevano il cero della loro infinita messa nera. Venivano dal proletariato industriale, Iommi aveva perso due falangi sotto una pressa in fabbrica – di lì il suono metallico e stridente della sua chitarra. La vita gli sorride molto poco, e per non cedere alla disperazione decidono di vendere l’anima al rock. Ozzy lo ha ripetuto infinite volte, se non fosse stato per la musica sarebbe finito sotto a un ponte, o sarebbe morto.
Non che non ci sia andato vicino, e sempre per la musica. Ha incarnato lo stereotipo della rockstar drogata al massimo livello, ed è il consumo esagerato di sostanze che lo porta a separare la sua strada da quella dei Sabbath alla fine degli anni 70. Ma la crisi durò poco: il sodalizio con il giovanissimo chitarrista americano Randy Rhoads lo porta a incidere “Blizzard of Ozz” nel 1980, e di nuovo cambia completamente le carte in tavola della musica pesante. Dalle atmosfere rallentate, sulfuree, luciferine dei Sabbath al virtuosismo neoclassico di quel prodigio della sei corde, stroncato troppo presto: Rhoads muore a 25 anni in un incidente aereo. Ma ormai la carriera di Ozzy è proiettata nell’Olimpo, la sua band diventa un carrozzone in cui vengono incubati protagonisti di primo piano del metal moderno, dai bassisti Rob Trujillo e Mike Inez, oggi nei Metallica e negli Alice in Chains, al chitarrista Zakk Wylde, oggi nei Black Label Society e nei Pantera.
E un carrozzone è diventata anche la sua famiglia, messa su con la manager Sharon, al punto da trasformarsi in un reality, “The Osbournes”, di grandissimo successo su Mtv alle soglie dei Duemila. L’aspetto stralunato, il passato turbolento, l’aneddoto del pipistrello decapitato a morsi durante un concerto, l’autoironia: Ozzy conquista il piccolo schermo come aveva conquistato i palchi.
Una settimana fa, l’ultimo grandioso concerto a Birmingham, la reunion con la formazione originale dei Black Sabbath e la somma più grande mai raccolta da un concerto rock di beneficenza. Tutto per la ricerca sul Parkinson, che negli ultimi anni ha afflitto il cantante. Lo show lo ha condotto seduto su un glorioso trono di pelle nera e ali di pipistrello, sempre fremente nel tentativo di alzarsi in piedi. Il pagliaccio oscuro che una volta tirava secchiate d’acqua sul pubblico e faceva capriole, bloccato come l’“Iron Man” della canzone più celebre dei Sabbath, ha consegnato così alla storia la performance metal più intensa di sempre.