Il Mont Ventoux era l’illusione che il Tour de France aspettava

Valentin Paret-Peintre ha vinto la sedicesima tappa del Tour de France 2025 davanti a Ben Healy e dopo un duello pieno di scatti. E in Privenza, Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard sono tornati a essere una simbiosi

Quando a quattordici chilometri dalla cima del Mont Ventoux Enric Mas si è girato per sincerarsi se fosse rimasto qualcuno alla sua ruota, ha visto gli anni che si è lasciato alle spalle colmi di grandi speranze e moltissime illusioni andate a male. Erano tutti lì, accanto alle sagome di Julian Alaphilippe e Thymen Arensman.

Gli alberi ancora disegnavano ghirigori d’ombra sull’asfalto provenzale racconciato alla bene e meglio dal bitume. Ombre che sembravano quelle che avevano seguito l’incedere ciclistico dello scalatore che avrebbe dovuto riportare la bandiera spagnola a sventolare sul gradino più alto del podio di una grande corsa a tappe.

Il Mont Ventoux è un monte che a un certo punto però fa a meno della vegetazione, si trasforma in una distesa di pietre, le ombre spariscono, rimane solo il sole a battere sulla testa e sulla schiena dei corridori. E così Enric Mas si è ritrovato senza qualcosa da cui fuggire. È stato ringhiottito dalle sue di ombre. Ben Healy e Valentin Paret-Peintre lo hanno prima raggiunto e poi staccato, lasciandolo solo con i suoi sogni incompiuti.

Hanno accelerato la salita Ben Healy e Valentin Paret-Peintre. Il primo partiva e il secondo inseguiva, il secondo ripartiva e il primo lo riprendeva. Si sono guardati, si sono studiati, cercavano una solitudine che facevano fatica a trovare. L’hanno cercata a lungo, hanno rischiato di farsi beffare dal rientro cattivo e determinato di Santiago Buitrago e Ilan van Wilder. Si sono però ripresi la scena sotto l’osservatorio astronomico. Una volata lunghissima, vinta danzando sui pedali da Valentin Paret-Peintre.

Non era giorno di esplorazioni ascetiche oggi al Tour de France. D’altra parte i comuni ai piedi del Mont Ventoux sconsigliano la solitudine nella salita del gigante provenzale, vorrebbero imporre la compagnia. Perché è montagna estrema, capace di mettere spingere il corpo al limite della sopportazione. Perché, va così da secoli, in cima si rischia l’abbaglio, la voce del Ventoux può condurre a percepire cose che non esistono. O spingere chi la sa sentire a cercare l’improbabile.

Nel 2000 salendo verso l’osservatorio astronomico la voce del Ventoux riuscì a far ritrovare a Marco Pantani l’apparenza dei giorni migliori.

Oggi Jonas Vingegaard ha provato a fare altrettanto. Il danese ha sommato scatti a scatti, accelerazioni ad accelerazioni, tentativi di rivolta e di evasione dal regime ciclistico di Tadej Pogacar.

Quella voce però non spingeva solo il danese. La sentiva anche Tadej Pogacar. La maglia gialla si è messo a ruota di Jonas Vingegaard e non l’ha mai mollata. Lo ha lasciato illudersi, gli ha fatto credere che moltiplicando gli scatti avrebbe potuto staccarlo. Ha aspettato il momento buono, il tratto più duro tra le pietre. E lì ha attaccato. Non è riuscito però a imporre la sua volontà. Il danese della Visma | Lease a bike ha risposto, non ha perso un metro, ha provato ad attaccare di nuovo.

Tadej Pogacar insegue Jonas Vingegaard salendo verso la cima del Mont Ventoux al Tour de France 2025 (foto Getty Images)

Il loro ciclismo simbiotico è ritornato a essere quello che era stato sino a due anni fa sulle strade provenzali. Ed era ciò che il Tour de France sperava di ritrovare, ciò che tutti gli appassionati di ciclismo, le centinaia di migliaia che sono saliti sul Ventoux (ed è una stima a ribasso: milione?, di più?), aspettavano di vedere. Perché quel duello era ciò che era mancato ad Hautacam. Perché quel duello che era riapparso verso la cima di Superbagnères, sembrava era stato una pausa scenica tra un assolutismo e l’altro.

Forse non era così. Forse. Forse è solo un’illusione, un’illusione a cui vogliamo credere. Perché ci fa bene crederci.

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