Ma quale “sistema”. Sull’inchiesta milanese i garantisti hanno il dovere di dubitare

Sette punti critici dell’impianto accusatorio, tra salti logici e conflitti d’interessi non sanzionabili. “Corruzione”, parola abusata

Nel diritto penale, l’accusa deve dimostrare non solo che un comportamento sia avvenuto, ma che sia penalmente rilevante. E per farlo, deve evitare il cortocircuito tra ciò che appare inopportuno e ciò che è illecito. Questo principio elementare sembra smarrito nelle oltre quattrocento pagine dell’ordinanza con cui la Procura di Milano chiede misure cautelari nei confronti, tra gli altri, di Giuseppe Marinoni e dell’assessore Giancarlo Tancredi (ieri ha annunciato le sue dimissioni). Il cuore dell’inchiesta è l’urbanistica milanese e il sospetto è quello della manipolazione del potere pubblico in funzione di interessi privati. Ma la narrazione si fonda più su un’ipotesi ideologica che su prove giuridicamente solide. Ecco, in sintesi, cosa non torna.

“Sistema” non è un reato

L’ordinanza parla di “disegno criminoso” e di “sistema”, ma in assenza di prove su un’associazione per delinquere il concetto resta narrativo, non giuridico. Attribuire all’attività urbanistica un’intenzionalità criminale non dimostrata significa forzare il diritto.

Il conflitto d’interessi non è reato

Marinoni ha mantenuto il suo studio anche da presidente della Commissione per il paesaggio. Questo può essere inopportuno, ma non è reato se non viola obblighi precisi. L’ordinanza sembra giudicare più il curriculum che i fatti.

Le chat non bastano a provare corruzione

Le prove si riducono a messaggi WhatsApp, a volte ambigui, mai espliciti su scambi di utilità. Chiedere un incontro o confermare un’area non è corruzione. Senza accordi concreti o contropartite, il rilievo penale pare forzato.

I reati contestati sono troppi

La Procura contesta vari reati, da corruzione ad abuso d’ufficio. Ma le condotte – incontri, messaggi, pareri – si assomigliano e il rischio è gonfiare l’impianto accusatorio moltiplicando le fattispecie.

Le delibere non sono atti personali

Attribuire a singoli decisioni prese da organi collegiali è un errore di prospettiva. Le delibere passano per Consiglio o Commissioni: parlare di “pressioni” senza prove concrete mina la funzione pubblica.

I privati non sono accusati, ma citati come complici

Le imprese coinvolte non sono indagate, ma vengono inserite nel racconto come co-protagoniste di un presunto disegno criminale. Si evoca la corruzione senza corrotto, alimentando sospetti più che accuse fondate.

Tancredi non è più assessore, ma non per questo colpevole

Tancredi appare come un politico operativo e influente, che parla, coordina, indirizza: ciò che fa un assessore. L’ordinanza fatica a individuare il momento in cui l’azione politica diventa reato. Eppure ieri Tancredi si è dimesso, forse per rispetto istituzionale, forse per non trascinare la giunta in un terreno minato. Un gesto politico, non una prova d’accusa.

Chi crede nel garantismo deve guardare con freddezza questa inchiesta. Non si tratta di negare opacità o assolvere chicchessia, ma di chiedersi se dietro l’apparenza di reati ci sia davvero giustizia o solo narrazione giudiziaria.

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