I conti sono terribili ma non è solo colpa delle misure economiche di Trump. Dietro le perdite c’è anche la ristrutturazione del quarto produttore automobilistico mondiale decisa dall’azionista di riferimento, la Exor di John Elkann
Nel primo semestre del 2024 Stellantis aveva messo in conto un profitto di ben 5,6 miliardi di euro: tra gennaio e giugno di quest’anno ha perso 2,3 miliardi. Conti terribili e non è solo colpa dei dazi che pesano per 300 milioni appena, almeno per il momento. Anche se la tariffa del 25 per cento imposta da Donald Trump non ha inciso soltanto in termini monetari, perché ha ostacolato la produzione. E l’incertezza legata all’instabilità del Commander in chief continua a pesare sui programmi di Stellantis come degli altri produttori. E’ un aspetto che spesso viene trascurato se non si conosce come funzionano le fabbriche. Ma allora perché la maggior parte degli analisti rilascia commenti positivi e il titolo in borsa è sceso solo di un punto percentuale? La ragione di fondo è che il gruppo ha messo fuori i panni sporchi e ha cominciato a lavarli. Dietro quelle perdite c’è la ristrutturazione del quarto produttore automobilistico mondiale decisa dall’azionista di riferimento, la Exor di John Elkann, e avviata dal nuovo management guidato da Antonio Filosa. “Il peso della larga riconversione intrapresa dimostra che il consiglio di amministrazione sta facendo passi decisivi”, dice Stephen Reitman della Bernstein citato dal Financial Times.
Non si tratta di minimizzare la crisi, sia chiaro. I ricavi sono in calo a 74,3 miliardi rispetto agli 85 miliardi del primo semestre 2024. A pesare concorrono anche i circa 3,3 miliardi di oneri netti legati ai costi per la cancellazione di programmi come l’idrogeno e alla svalutazione di piattaforme, all’impatto della recente normativa che elimina la sanzione prevista dal regolamento CAFE (Stati Uniti) e alle ristrutturazioni. I conti americani, dai quali deriva gran parte degli utili, sono appesantiti dalla combinazione tra Trumpnomics e una ristrutturazione che non risparmia nemmeno l’Europa dove molti modelli sono in rampa di lancio o in attesa di produzione prevista per la seconda metà dell’anno. Una fase che colpisce particolarmente l’Italia, i cui stabilimenti sono in attesa delle nuove vetture.A Mirafiori la 500 ibrida uscirà dalle linee di montaggio forse alla fine dell’anno e sarà sul mercato nei primi mesi del 2026. La Maserati invece resta un disastro: -22 per cento delle vendite e pesanti nuvole pesano sulla sua sopravvivenza. Se guardiamo le aree mondiali del gruppo, il colpo peggiore è negli Usa (–25 epr cento), Europa e Cina sono scese del 6 per cento, continua ad andar bene l’America del Sud (+20 per cento), mentre tirano Medio oriente e Africa (+30 per cento) anche se non sono in grado di compensare America ed Europa che insieme hanno venduto un milione di vetture nel secondo trimestre. Nell’area della Ue i produttori hanno ricevuto una boccata d’ossigeno dall’allentamento delle norme per ridurre la CO2, ma Jean-Philippe Imparato che guida l’area europea ha messo le mani avanti: i veicoli commerciali sono stati più lenti nella transizione elettrica e rischiano una mega multa di 2,6 miliardi di euro.
Le consegne consolidate a livello mondiale, per il secondo trimestre 2025, si sono attestate a 1,4 milioni di unità, con un calo del 6 per cento rispetto al 2024, a causa delle pause di produzione legate alle imposizioni dei dazi del 25 per cento. I dati ufficiali verranno pubblicati fra una settimana e forse allora verrà anche comunicata una previsione per l’intero anno. C’è tuttavia un certo ottimismo, perché Stellantis è più americano dei gruppi europei e asiatici i quali si aspettano impatti più pesanti da parte di Tariff Man. Per avere un’idea del terremoto, un amministratore delegato su cinque nell’ultimo anno è stato costretto a dimettersi come Carlos Tavares. A parte Stellantis, Volvo, Nissan, Aston Martin, Lucid che produce auto elettriche negli Usa, hanno cambiato timoniere. E’ il segno di una crisi strutturale: l’industria dell’auto è matura e rischia di fare la fine di altri comparti che hanno raggiunto la saturazione (si pensi all’acciaio) e debbono compiere un salto tecnologico e produttivo.