Vertice a casa Meloni per le regionali: il Veneto alla Lega, la Campania a FdI, la Puglia a FI

La premier costretta a uscire dalla dimensione internazionale per occuparsi di politica interna. Sullo sfondo la crisi di Milano e i veti del centrodestra

Meglio districare la matassa dei dazi, ben vengano le questioni geopolitiche ma se c’è di mezzo la politica interna, ecco allora forse per Giorgia Meloni le cose iniziano a complicarsi. O forse a diventare più noiose. Sicché il vertice – chez Giorgia – sui candidati alle prossime regionali diventa il tormentone che il centrodestra si trascina per tutta la giornata. Niente pranzo dei quattro leader (la premier, i vice Salvini e Tajani e Lupi) ma riunione serale tra l’aperitivo e la cena, dopo che Meloni ha incontrato il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Si cerca la “ciccia”. E cioè i nomi di coloro che dal Veneto alla Campania e poi di nuovo giù fino alla Puglia cercheranno di portare a casa il risultato. Si parte dallo stallo alla messicana. Tutti contro tutti, veti su veti. Con sullo sfondo il guazzabuglio di Milano con Tajani che preferisce un civico e quindi boccia Lupi di Noi moderati.

Tutto il dibattere nel centrodestra ruota intorno al Veneto, unica regione data per riconfermata il prossimo autunno. Su questo Matteo Salvini non transige: il dopo Zaia deve passare anche da noi. Il nome sul tavolo resta quello di Alberto Stefani, uno dei vicesegretari del partito di via Bellerio, con le idee molto chiare. In questo gioco di veti e controveti, veline e veleni, la linea salviniana non cambia: se non esprimeremo noi il candidato siamo pronti a correre da soli. Con tutto il rischio di un’impresa che potrebbe anche resuscitare il centrosinistra (sarebbe, questo sì, un miracolo). Per Fratelli d’Italia confermare il Veneto agli alleati significa comunque giocare sulle altre regioni ancora senza candidato dove la vittoria risulta essere un’impresa abbastanza complicata.

Il vertice di ieri sera è stato accompagnato dalla spinta di Edmondo Cirielli in Campania (è il viceministro meloniano degli Esteri) con la possibilità di lasciare la Puglia a Forza Italia (si fa, tra gli altri, il nome del tajaneo Mauro D’Attis). Insomma fino a ieri sera di sicuro c’era al massimo la spartizione dei partiti per le varie regioni e la divisione sempre del centrodestra sul caso Milano. Con FdI che frena sulle dimissioni del sindaco Beppe Sala, la Lega che spinge, Forza Italia in mezzo ma pronta a bocciare l’idea Lupi, che piace invece al partito di Meloni, a partire dal presidente del Senato Ignazio La Russa. Nell’aria: nomi da bruciare, nomi coperti e tentazioni di cambiare le regole del gioco in corso. Come la proposta di legge presentata al Senato per far scendere al 40 per cento la soglia utile per vincere al primo turno evitando così il ballottaggio. Norma che sulla carta potrebbe aiutare le coalizioni più strutturate invece che quelle più larghe (vedi il centrosinistra). Per questo c’è tempo. Per le regionali. In attesa di un vertice a casa Meloni che avrà bisogno di un altro richiamino, magari fra una settimana.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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