L’ex candidato sindaco del centrodestra: “Dalla procura teoremi più etici che penali. Bloccare lo sviluppo di Milano significa bloccare il paese. Sala rinnega se stesso”
“Bloccare lo sviluppo e la rigenerazione urbana di Milano sulla base di teoremi, che sembrano essere più di carattere morale ed etico che penale, è un danno enorme per Milano e per il paese. Basti pensare che Aspesi, l’associazione che riunisce gli imprenditori del settore immobiliare, stima l’impatto dello stop dei cantieri determinato dall’inchiesta della procura in addirittura 38 miliardi di euro, più dell’impatto dei dazi di Trump”. A parlare al Foglio è Stefano Parisi, manager e candidato sindaco, perdente, a Milano nel 2016 proprio contro l’attuale primo cittadino Beppe Sala, finito indagato nella maxi indagine della procura di Milano sull’urbanistica. Per Parisi “sembra esserci nell’iniziativa dei pm milanesi la volontà di perseguire atteggiamenti che moralmente potrebbero apparire disdicevoli, anziché condotte sulle quali è possibile configurare ipotesi di reato. La giustizia non deve fare questo. Deve occuparsi dell’applicazione delle norme e dei possibili reati”. Invece, prosegue Parisi, “basta leggere i giornali che riportano gli atti della procura, i noti giornali megafoni dei pm, per rendersi conto che nell’indagine non c’è nulla. Sui quotidiani però troviamo ogni giorno le foto dei magistrati e i loro curriculum: sono gli eroi che stanno salvando Milano dai grattacieli. E’ la solita sensazione che si ha dell’azione della procura di Milano da trent’anni a questa parte”.
Al di là dell’accertamento di eventuali responsabilità penali individuali, l’impressione è che dietro l’indagine della procura di Milano ci sia l’intento di criminalizzare il mestiere della politica: l’amministrazione comunale sta cercando di realizzare un modello di trasformazione urbana fondato sulla stretta collaborazione tra pubblico e privato e su procedure accelerate di autorizzazione delle opere edilizie. “E’ così”, dice Parisi. “Milano fece i primi passi nella direzione della rigenerazione urbana nel 1997 quando Gabriele Albertini era sindaco e io rivestivo il ruolo di direttore generale del comune. In tutte le città del mondo la rigenerazione urbana viene realizzata tramite uno stretto rapporto tra pubblico e privato. Lo si fa con grandi gruppi che fanno investimenti nelle aree urbane, perché vogliono trarne profitto. La politica trova nell’apporto del privato la leva per poter rigenerare e migliorare la struttura urbana della propria città facendo un accordo con coloro che sanno fare questo mestiere. Questo è successo e succede in tutte le città del mondo tranne in Italia, dove questa cosa viene messa in discussione a priori. Ma se non sono gli architetti e i professionisti della città a occuparsi di questa materia chi lo deve fare? Il geometra di un paesino?”.
“La Milano che cresce verticalmente ha un impatto positivo anche dal punto di vista ambientale e dell’organizzazione del lavoro. Oggi Milano è molto più vivibile di trent’anni fa”, sottolinea Parisi. “Purtroppo la magistratura è convinta politicamente che questo modello non vada bene e quindi va perseguito”.
Nelle carte dell’inchiesta milanese si rintraccia persino un’ideologia intollerante alla logica del profitto, come se l’imprenditore non avesse come obiettivo quello di guadagnare con la propria attività. “Non solo gli imprenditori, ma anche i professionisti, che lavorano per portare avanti operazioni molto complicate che comportano anche tanti rischi”, nota Parisi, che poi attacca: “Siamo una società capitalistica. E’ il modello capitalistico a portare ricchezza per tutti. Se la procura di Milano è contraria se ne faccia una ragione. Perché è questo il modello in cui per fortuna l’occidente vive e prospera”.
Ma Parisi non risparmia critiche neanche a Sala, che ora di fronte all’iniziativa dei pm sembra rinnegare la politica urbanistica condotta in questi anni: “A quanto pare ha trascorso un weekend nel dubbio per decidere se mollare tutto o proporre una nuova linea per i prossimi due anni. Questo è veramente incredibile. Il sindaco di Milano deve difendere le scelte urbanistiche degli ultimi dieci anni, non ritrarsi nel dubbio. Quel modello di sviluppo lo hai voluto? Allora difendilo!”, dice Parisi, che poi ricorda: “Ai tempi della campagna elettorale diversi esponenti del Pd si incatenavano davanti ai cantieri di Piazza Gae Aulenti, dove poi sono sorti alcuni dei grattacieli più famosi che oggi costituiscono il centro direzionale e commerciale della città, perché erano contro quello sviluppo urbano. Quando Sala ha vinto l’elezione, alcuni di quegli esponenti sono diventati assessori della giunta comunale, che ha ripreso quel modello urbanistico acriticamente, senza ripensarlo, ha continuato a tagliare nastri e a inaugurare progetti partiti con le giunte precedenti”. E allora, prosegue Parisi, “se lo hai portato avanti devi difendere quel modello. Non puoi dire ‘bisogna cambiare sistema’ perché ti è arrivato un avviso di garanzia. Lo ha fatto anche Schlein. Ma cambiare in che senso? Cambiare in modo da non fare niente, che poi è l’approccio dei Cinque stelle? La politica deve decidere e prevenire eventuali fenomeni di corruzione scegliendo persone oneste, punto. Non deve ritrarsi di fronte alle decisioni”, dice con fermezza l’ex candidato sindaco di Milano per il centrodestra.
Piuttosto, aggiunge, quel modello avviato nel 1997 andava aggiornato alle esigenze della città: “C’è un degrado delle periferie drammatico. Il divario è diventato ancora più evidente proprio con lo sviluppo delle aree più centrali. Il nostro progetto di sviluppo era improntato sul modello di housing sociale, con la demolizione delle vecchie case popolari e la ricostruzione di altre molto più sane dal punto di vista urbanistico e ambientale, anche con spazi che consentissero una maggiore integrazione. La lotta alla criminalità non la si fa solo con i poliziotti, ma anche rigenerando un tessuto urbano che consenta l’integrazione delle persone nella città. Questo aspetto è stato totalmente dimenticato”, sottolinea Parisi.
Intanto c’è da prendere atto, ancora una volta, dell’assenza di una vera cultura garantista tra i partiti: “L’unica che ha avuto un atteggiamento garantista è stata Giorgia Meloni, che ha detto che di fronte a un avviso di garanzia non ci si dimette. Gli altri si sono mossi come al solito: garantisti con i propri amici e giustizialisti con gli avversari. Questo è molto grave perché le procure, di fronte a questo atteggiamento, sanno che non troveranno mai una politica compatta nel reagire a delle azioni della magistratura che vanno molto al di là dei propri compiti istituzionali”.
Per non parlare della resa sul Salva Milano: “Quello sarebbe stato un atto serio, ancorché una toppa”, dice Parisi. “C’è un tema più profondo su cui la politica non si interroga mai, che è quello della qualità della legislazione. Le norme sono confuse perché sono il risultato di un processo di mediazione e di compromesso. Tutta questa confusione mette nelle mani delle magistrature, penali, contabili e amministrative, un potere enorme. C’è una corresponsabilità della politica rispetto a ciò che sta avvenendo a Milano. Non è solo colpa della procura ideologizzata”.
Lei ha dichiarato il suo addio alla politica nel 2020. Non è che di fronte a questo scenario impazzito ci sta ripensando? “L’impegno attivo nella politica non riguarda la singola persona, come invece la politica sembra averci abituati. L’impegno attivo richiede che ci sia un sistema che possa accogliere idee, capacità professionali, progetti. In questo momento non vedo un contesto di questo tipo, quindi la mia risposta è no”, replica Parisi.