“Ora riesco a non sentirmi più inferiore” dice l’azzurra arrivata al numero 1 della scherma. “Ho ancora tanto da fare sulla gestione dell’ansia e della consapevolezza. Ma l’impotante è non mollare mai”
Dietro ogni assalto, ogni stoccata, dietro quella maschera che cela il sudore ma anche la tensione, ci sono pensieri, emozioni, attimi che portano alla vittoria. Martina Favaretto lo dice spesso: “L’80 per cento dei casi è tutta una questione mentale”. Negli anni, l’atleta che ha iniziato vedendo in tv Matteo Tagliariol a Pechino 2008 e che porta al collo una collana con un ciondolo a forma di fioretto (la sua arma), regalo del maestro Mauro Numa, ha lavorato sulla consapevolezza, sulla gestione di quella maledetta ansia che spesso immobilizza. “Da quando sono piccola ho uno psicologo dello sport che mi ha aiutato a controllare la gara, le motivazioni o le sconfitte. Ho imparato dalle Olimpiadi: ricercare il risultato era quasi un’ossessione… valevo come persona solo se fosse arrivato un piazzamento. L’importante è puntare in alto e non mollare mai. Se non si raggiunge un obiettivo, si apprezza il bello che c’è stato, ci si impegna. Bisogna darsi del tempo e non volere tutto subito, errore che spesso tendo a fare. Negli ultimi anni, rispetto a quando ero più giovane, sono maturata, cresciuta e vedo la differenza, aiuta nei momenti no. Prima, quando mi trovavo una campionessa olimpica, come Lee Kiefer, mi sentivo inferiore, non riuscivo a mettercela tutta. Ora è diverso, provo a combattere alla pari. Ho ancora tanto da fare sulla gestione dell’ansia e della consapevolezza”.
Sta cercando di capire tutto il suo potenziale che va solo sprigionato, come ha fatto nell’ultima stagione in Coppa del Mondo. “È stata la migliore annata fino ad ora con quattro vittorie e due bronzi”. Adesso, l’attenzione è tutta sul Mondiale di Tbilisi (in Georgia dal 22 al 30 luglio). La veneta arriva alla rassegna con qualche sicurezza in meno, visto che è stata costretta, per infortunio, a saltare l’Europeo di Genova 2025. “Adesso sto bene, ho ripreso a pieno ritmo gli allenamenti, mi sto preparando per ritrovare la forma per il Mondiale. È stato un periodo complesso perché ho affrontato una situazione inaspettata: ero tranquilla e tutto stava procedendo al meglio tanto che avevo ricominciato a tirare, a rimettermi in pedana. Dopo la risonanza di controllo mi è stato consigliato dallo staff medico di non competere proprio in vista di Tblisi. È stato uno stop obbligato, una piccola delusione, ma mi sono rimessa a lavorare”.
Favaretto sarà in pedana il 24 luglio per la prova individuale e il 27 per la prova a squadre. Proprio nella squadra, in virtù dei suoi 23 anni, è la più piccola “qualcosa che mi accompagna sempre”. Questo perché anche a casa è così: ha un fratello più grande, suo preparatore atletico e due sorelle maggiori. In Nazionale è l’ultima arrivata che si è fatta strada nonostante la timidezza e qualche insicurezza di troppo. L’ha fatto portando sulla schiena il suo cognome e l’aggettivo predestinata. “A casa sono un po’ quella viziata. Nello sport, invece, il più piccolo deve emergere e le mie compagne mi hanno aiutato. Bisogna spesso stringere i denti, cercare di arrivare al livello delle grandi campionesse e riuscire a mantenere quella condizione e avere dei risultati. Essere la “predestinata” mette pressioni che mi metto anche io. Allo stesso tempo, ha dato una mano a credere in me: ho ricevuto la fiducia di azzurre come Valentina Vezzali o di grandi maestri della scherma, questo mi ha dato forza”. Del resto, quelle campionesse che prima sembravano un gradino sopra, ora devono stare attente. Quest’anno, Favaretto è diventata numero 1 del ranking (ora è numero 3) davanti all’americana Lee Kiefer, osso duro negli ultimi anni per tutta la Nazionale. “Era una cosa a cui ambivo ed è frutto di quanto fatto in questi anni, della costanza: ripaga gli sforzi. Per questione di punteggi sono ritornata seconda: il primo posto ce lo giochiamo al Mondiale, vorrei chiudere da numero uno”. Un possibile riscatto dopo l’argento di squadra a Parigi 2024 e il mancato podio individuale.
“È stata un’emozione grandissima. Era il sogno fin da bambina. Una cosa che ricordo con piacere è la cerimonia d’apertura: mi sono sentita parte di un gruppo. Ho vissuto anche l’aspetto negativo: puntavo a una medaglia individuale e non è arrivata. Non ho subito apprezzato il sesto posto, è prevalsa prima la delusione, anche per l’argento di squadra. Ho capito che nulla è scontato, varrà come insegnamento per il futuro”. Un futuro, anche se lontano, a cui sta lavorando con gli studi in giurisprudenza e concedendosi, ogni tanto, un po’ di relax con il make u: “Non ho mai fatto corsi, ma ho la camera piena di trucchi e continuo a comprarne, mi rilassa. Per gli studi l’ambito mi è sempre piaciuto, penso a fare carriera in Polizia o a rimanere nel mondo sportivo. Ho fatto un esame di diritto dello sport che mi è piaciuto, magari sarebbe bello aiutare anche la Federazione di scherma”.