Quanto tempo ho per non farvi sbadigliare? Due minuti al massimo. Le nuove frontiere del public speaking

Non basta essere per la chiarezza e la velocità. Forse oggi ci tocca trasformare i grugniti in linguaggio pur di farci ascoltare dal pubblico

Ah, quando arrivarono i Ted Talk. La durata massima dello speech era di 18 minuti. In 18 minuti hai tutto il tempo per esprimere in maniera chiara un’idea. Così mi spiegarono. Pensai: che bello, 18 minuti e via. Non sei costretto a sorbirti oratori che si parlano addosso. Poi, un mio amico mi disse: ormai i 18 minuti non li reggo più, cerco solo Ted di 10/12 minuti. A pensarci bene nemmeno io li reggevo, spesso li ascoltavo a velocità raddoppiata. Ho dato la colpa ai contenuti dei Ted, troppe idee ottimiste fanno diventare pessimisti.

Un giorno vengo invitato a un convegno e mi dicono: hai 10 minuti. Rispondo: è un argomento complesso. Ma – mi spiegarono gli organizzatori, tra cui un esperto di public speaking – che la colpa era mia, perdevo tempo. In effetti: sono meridionale, faccio un po’ di pause, digressioni. Vada per i 10. Che vi devo dire, alla fine ero insoddisfatto, ma probabilmente era colpa delle mie pause. A un altro convegno siamo scesi a 8 minuti. E qui è dura, mi sono detto. Ma l’organizzatore, anche lui un esperto di public speaking, mi ha detto che 8 minuti per chi ascolta sono un’eternità. Se non dicevo niente la colpa poteva essere mia. Mi ha anche suggerito di iniziare il discorso in modo diverso, per esempio con: “immaginate che…”. Questo incipit catturava subito l’attenzione dello spettatore. Ho risposto che Eduardo De Filippo conquistava il pubblico con 10 minuti di silenzio iniziale. Ma mi hanno risposto: con tutto il rispetto… non sei De Filippo. Vero, vada per gli 8 minuti. Che siccome non sono Eduardo De Filippo mi sono serviti a poco, e ho notato, ma non l’ho detto all’esperto di public speaking, che tutti gli relatori che iniziavano con: “immaginate che…”, stavano deprimendo il pubblico: del resto, immaginare stanca.

Pochi mesi fa ho organizzato un convegno e ho detto ai relatori: dobbiamo stare dentro i 7 minuti. Tutti hanno sforato, ma erano quasi tutti meridionali: si credevano tutti De Filippo. Un mese fa mi hanno chiamato dicendomi: 5 minuti. Poche cose che il pubblico deve portare a casa. Però l’unica cosa che portavano a casa era il giudizio sul buffet. L’ultimo convegno ho avuto 3 minuti, perché ormai – diceva l’esperto in public speaking – il tempo massimo dedicato all’ascolto è 3 minuti. Se si è live, sui social 30 secondi. Quindi, fatti i conti, dovremmo portare il tempo massimo intorno ai 2 minuti. Ho provato i 2 minuti, ma vi devo dire la verità, non è venuto fuori un bel discorso.

Vi racconto queste cose perché stanotte ho fatto un sogno: ero a un convengo e nessuno mi ascoltava. Allora, visto che tutti se ne andavano, mi lamentavo ed emettevo (nel sogno) dei grugniti. Ebbene questi grugniti facevano tornare il pubblico in sala. Un minuto di grugniti e tutti ridevano. Il sogno continuava, ora ero da uno psicologo per farmi analizzare il sogno. Lo psicologo assomigliava a Paolo Crepet, ma pure a Recalcati e parlava parlava per un tempo infinito. Mi sono svegliato con l’affanno e per tutta la giornata non sono riuscito a parlare, se non attraverso dei grugniti. Io sono per la chiarezza e la velocità, non per la dissoluzione del pensiero, ma mi sa che ci tocca trasformare i grugniti in linguaggio, questo mi è sembrato di capire. Ora, se tra i 10 lettori c’è qualcuno che ha capito il mio sogno, può scrivere al Foglio per avere i miei contatti: ah, però, poche righe, una è l’ideale, due, se proprio siete meridionali e fate qualche digressione: comunque brevi, che non ho tempo da perdere.

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