Francesca Albanese e quel tic del culto della personalità

Passino quelli che difendono la rapporteur per proteggere l’Onu dall’assalto di Trump. Il problema è chi non vede che porta avanti una visione imbevuta del terzomondismo più stantio, che “sta alla questione israelo-palestinese come Alessandro Orsini a quella russo-ucraina”

Francesca Albanese candidata al Nobel. Francesca Albanese proposta come Duchessa di Amalfi, come cittadina onoraria di Milano, Firenze, Bari, Corato in provincia di Bari, Faenza, Trapani, Rovereto, Avellino, Gesualdo in provincia di Avellino – e mancano all’appello altri 7.887 comuni. Francesca Albanese sostenuta da Anpi, Arci, Cgil (e il Codacons tace?), incensata dal jet set cinematografaro in una lettera aperta che si proclama dalla parte “di chi continua a credere che un altro mondo sia possibile” (vedi alla solita voce “egemonia culturale dell’assemblea di istituto”, paragrafo “terza liceo 2001”). Seguiranno, scommetto, lauree honoris causa, premi consegnati da sindaci e assessori, titoli altisonanti conferiti da sindacati di categoria.

E’ ogni volta così. Il culto della personalità è una coazione a ripetere che intacca trasversalmente tutti gli schieramenti, e anche chi ha in uggia le citazioni facili non può non pensare alla battuta di Maccari secondo cui i fascisti in Italia si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti. Ora, passi per quelli che difendono tatticamente Albanese per proteggere l’Onu dall’assalto di Trump: io dico che stanno cavalcando una causa giusta con il cavallo sbagliato, ma tant’è. Il problema è chi ci crede davvero. Chi non vede che la rapporteur – cito Francesco Cundari – “sta alla questione israelo-palestinese come Alessandro Orsini a quella russo-ucraina”. Chi non è avvilito davanti all’angustia della sua visione imbevuta del terzomondismo più stantìo (è una che raccomanda, per capire il presente, di leggere Galeano e Fanon – il consiglio che mi sarei aspettato a sedici anni dalla militante di un collettivo studentesco). Nel suo recente intervento a Bogotá ha detto che i palestinesi stanno scrivendo “l’ultimo verso di una saga secolare di popoli che si sono ribellati contro l’ingiustizia, il colonialismo e, oggi più che mai, la tirannia neoliberista” (sic). Nell’attesa che Hamas infilzi il drago dei Chicago Boys, sarebbe bene per tutti non galoppare oltre la soglia del ridicolo.

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