La cauta rivalsa del regime iraniano contro “il fantoccio” Sharaa. La nostalgia per la Siria di Assad

Nei suoi primi sei mesi da presidente ad interim al Sharaa non ha mai fatto sconti all’Iran. Ha contannato il ruolo delle milizie filoiraniane che ha descritto come “una minaccia strategica” alla Siria e all’intero medio oriente. L’isolamento di Teheran

Viste da Teheran, le bombe israeliane che piovono su Damasco suscitano un misto di angoscia e senso di rivalsa. L’angoscia appartiene agli iraniani, preoccupati che il secondo tempo della guerra dei dodici giorni possa scattare da un momento all’altro e allargarsi in direzioni impreviste; la rivalsa, invece, è tutta del regime che, dopo aver subìto la fuga di Bashar el Assad, lo sconquasso dell’asse della resistenza, l’ascesa di Ahmad al Sharaa, e la perdita della cosiddetta “trentacinquesima provincia”, osserva il takfiri, ossia “l’apostata” al Sharaa, alle prese con la prima seria turbolenza. Nei suoi primi sei mesi da presidente ad interim al Sharaa non ha mai fatto sconti all’Iran.



In un’intervista a Syria Tv del 4 febbraio, ha condannato il ruolo delle milizie filoiraniane che ha descritto come “una minaccia strategica” alla Siria e all’intero medio oriente. “Queste forze – ha detto – utilizzavano la Siria come una piattaforma per l’instabilità”. Il riallineamento geopolitico di Damasco si è concretizzato durante la guerra dei dodici giorni, quando lo spazio aereo siriano si è aperto di buon grado al passaggio dei jet israeliani. Ma nei palazzi del potere iraniani ha fatto molto rumore anche la recente visita di al Sharaa a Baku, perché l’Azerbaigian è un grande alleato di Israele e quando il presidente azero Ilham Aliyev ha annunciato l’inizio di una nuova èra nelle relazioni bilaterali, gli analisti cari ad Ali Khamenei hanno ipotizzato l’esistenza di nuovi accordi sul gas tra Baku e Damasco e alcuni si sono spinti a vaticinare una nuova feroce triangolazione anti iraniana capitanata da Israele.

Poi però è arrivato l’attacco che secondo Teheran ha poco a che vedere con i drusi e molto con il desiderio di Israele di imporsi fintanto che Washington lo consente. Così alcuni insider hanno rivisto le teorie del complotto, e altri, invece, le hanno ribadite, al grido di “al Sharaa è un fantoccio”. Le reazioni ufficiali, per gli standard della Repubblica islamica, sono invece state caute. “Era fin troppo prevedibile”, ha commentato il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi. Il suo portavoce aveva già fustigato “i crimini dell’entità sionista” e l’inazione del Consiglio di sicurezza, Araghchi ha preferito sottolineare che la Repubblica islamica seguita a sostenere “la sovranità e l’integrità territoriale della Siria” e che il mondo e la regione dovrebbero unirsi per fermare le aggressioni di Israele. “Quale sarà la prossima capitale?”, si è domandato su X. Ed è la stesso interrogativo che imperversa sui social network e sui media di regime che un po’ si compiacciono delle difficoltà dell’“apostata sunnita” e un po’ ripensano nostalgici all’alleanza con Assad.

Così nelle ultime 48 ore si sono lette cose come: “Al Sharaa sta imparando a sue spese che Israele non accetterà mai come vicino un governo non solo islamista ma populista”; “Il sostegno di Erdogan è inutile perché non ha alcun ascendente su Israele”; “Damasco e Teheran hanno bisogno l’una dell’altra, non importa che il potere sia in mano a un alawita o a un sunnita”. Ma a oggi il bisogno appare tutt’altro che reciproco. Quel che resta dell’asse della resistenza guarda all’Iran con un’inedita indifferenza, Teheran non è mai stata più sola, più isolata e più incapace di pretendere obbedienza.

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