Lo accusano di essere un assadista nelle mani di Netanyahu, ma diceva: “Voglio una sola Siria”
“Speriamo che tutti i siriani, senza distinzione di colore o di setta, restino uniti, preservando i propri diritti”. Quando lo scorso dicembre incontrammo Hikmat al Hijri nel suo quartier generale di Qanawat, sette chilometri a nord-est di Suwayda, si respirava un clima di festa. I pullman dei notabili drusi arrivavano da tutta la Siria, in un pellegrinaggio verso la campagna che domina il Jabal al Druze, la provincia meridionale della Siria. Molti venivano da lontano, persino da Idlib, la capitale di Hayat Tahrir al Sham, il gruppo islamista guidato da colui che oggi è il presidente della Siria, Ahmad al Sharaa. Lì al nord, Jabat al Nusra e lo Stato islamico si erano resi responsabili di atroci violenze contro i drusi, dissacrando i loro luoghi di culto. Molti furono costretti a convertirsi all’islam sunnita. Per loro, al Sharaa rappresentava – e rappresenta tuttora – l’ombra dell’islamismo estremista che si allunga fino a cancellare ogni aspirazione di “al karama”, cioè di dignità. Al Hijri li confortava: “Speriamo di contribuire alla costruzione di uno stato siriano”, ripeteva mentre gli dava udienza.
Oggi i raid dello stato ebraico hanno permesso ad al Hijri di allontanare – chissà fino a quando – le forze del governo da Suwayda. Ieri ha detto che la città è stata liberata “dai terroristi” e ha chiesto di riaprire le vie di comunicazione verso le province curde. Tutto ciò che al Sharaa non vuole: fare dei drusi, degli alawiti, dei cristiani e dei curdi un fronte unito di minoranze ferite e rabbiose contro Damasco.
Nella capitale i drusi sono parte integrante di una teoria del complotto non nuova, ma proprio per questo sempre efficace: quella che li vuole eterodiretti da Israele. “Noi, figli della Siria, sappiamo bene chi ci sta trascinando nella guerra e nella divisione – ha detto al Sharaa con un discorso alla nazione mercoledì sera – Sin dalla caduta del regime, Israele sta cercando di smantellare la Siria”. Ma se lo stato ebraico c’entra eccome negli eventi di questi mesi a Suwayda – ma anche a Quneitra e Daraa –, è vero pure che al Sharaa usa Israele per coprire i propri errori nella gestione della fallimentare campagna militare verso sud. Nelle vesti di uno dei tre mashayakh al ’aql dei drusi, i leader spirituali, al Hijri è accusato di essere un pupazzo nelle mani di Benjamin Netanyahu, oltre che di ricoprire il ruolo di capobanda di un gruppo di trafficanti di droga ed ex assadisti. Gli appelli rivolti da al Hijri affinché gli israeliani intervenissero per aiutare i drusi nella loro “lotta per la sopravvivenza”, hanno alimentato queste accuse. Aymenn Jawad al Tamimi, un ricercatore specializzato nello studio della Siria meridionale, ritiene però che si debba essere più cauti. “Molte delle argomentazioni su al Hijri sollevate dagli attivisti filogovernativi sono propaganda. Certo, è stato legato al vecchio regime, ma come lui anche gli altri due mashayakh al ’aql. La loro linea, per gran parte della guerra civile, è stata che qualsiasi attacco sferrato allo stato siriano fosse una linea rossa invalicabile. E’ per questo che – continua al Tamimi – in quegli anni non ci fu alcuna sollevazione popolare contro il regime a Suwayda”.
Al Hijri discende da una famiglia venerata dalla comunità drusa, perché da sempre schierata su posizioni nazionaliste, opposte a qualsiasi invasore, che fossero ottomani o francesi. Suo malgrado, nel 2012 Hikmat divenne leader spirituale dei drusi, ritrovandosi a subentrare al fratello Ahmad, titolare a succedere al padre in linea diretta ma morto in circostanze mai chiarite in un incidente d’auto. All’inizio della guerra civile al Hijri sposò la linea del quieto vivere con il regime, che attraverso il ricatto della violenza e del denaro teneva sotto controllo i leader religiosi delle minoranze. Per di più, Bashar el Assad si guardava bene dall’inviare i suoi uomini in massa verso sud, sia per evitare di oltrepassare la “linea rossa” che delimitava le relazioni tra il regime e i drusi, sia per evitare di provocare la reazione di Israele. Solo dal 2023 in poi, con l’emergere delle proteste di Piazza Karama a Suwayda, al Hijri decise che era giunto il momento di benedire l’insurrezione contro Assad.
Anche le relazioni con lo stato ebraico hanno finito per alimentare la teoria del complotto sponsorizzata da al Sharaa. “Certo, al Hijri gioca con l’idea di ottenere una protezione da Israele, ma questo non significa che abbia propositi separatisti in combutta con Netanyahu – spiega al Tamimi – Ciò che vuole è una Costituzione che dia garanzie per uno stato secolare e decentralizzato. Molti, anche tra gli stessi drusi, lo criticano perché dicono che le sue richieste sono irrealistiche, ma questo non fa di lui un criminale”.
I detrattori di al Hijri lo ritraggono come un leader spirituale fin troppo incline a fare politica, prestandosi a complessi giochi di potere. C’è chi lo accusa di essere un cieco seguace di Mowafaq Tarif, il leader dei drusi di Israele, colui che qualche giorno fa ha lanciato un appello a Netanyahu dicendogli “scegli, o i drusi o l’Isis”, per esortarlo a intervenire contro Damasco. Altri speculano sui suoi legami stretti con gli americani. Mentre alcuni dei suoi uomini issavano la bandiera israeliana dal tetto di una casa di Suwayda, la fama di Hikmat è entrata in crisi. Ieri gli affiancavano l’immagine mitologica di Sultan al Atrash, l’eroe che si batté contro il mandato francese, che unì il sud del paese contro ogni dominatore combattendo per una Siria unita. Oggi è accusato di continuare a combattere la guerra di Assad.