Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Caro Cerasa, è scattata l’operazione Tangentopoli 2.0? Chi vivrà vedrà. Una cosa però è certa: discutiamo di parlamenti e governi, elezioni e partiti come se fossero ancora i pilastri della vita pubblica. Non è così, o non è più solo così. In Italia il gioco democratico da almeno trentatré anni è vistosamente condizionato da un potere di corpo che trascende il circuito del voto: la magistratura. Insieme ai media e al web, oggi costituisce l’architrave di una costituzione silenziosa in grado di trasformare le istituzioni più solide in una cricca di malfattori. Essa, al contrario, resta intoccabile. Pena il timore che venga messa in discussione la sua autonomia, nonostante un clamoroso scandalo che ha rischiato di travolgere proprio l’organo che doveva garantirla. E’ vero, non mancano le consuete e accorate considerazioni sulle lungaggini e sulle inefficienze dell’iter giudiziario. Senza però che i loro costi – sociali, economici, umani – varchino mai la soglia del piagnisteo impotente a cui si contrappone un giustizialismo ottuso. Se non intervengono le manette, il politico, l’amministratore o il manager sotto accusa entrano nel cono d’ombra di un calvario processuale di cui si perderanno presto le tracce. Salvo tornare, ma molto più marginalmente, sui giornali nel momento dell’archiviazione o del proscioglimento. Ne sanno qualcosa, solo per citare alcuni tra i casi più noti di un elenco sterminato, Romano Prodi, Antonio Bassolino, Ottaviano Del Turco (come si vede, non è questione di “toghe rosse”). Di fronte a risultati così deludenti, non sorprende che qualche procura tenda a privilegiare – nella scelta dei suoi bersagli – personalità di maggior calibro istituzionale o legate a personaggi di rilievo nazionale. Del resto, siamo in un’epoca in cui intercettazioni e documenti coperti dal segreto istruttorio vengono pubblicati ad horas dalla stampa, e in cui l’apertura di un fascicolo o un avviso di garanzia non si nega a nessuno, soprattutto se ricopre o si candida a una poltrona di sindaco, di governatore, di ministro, di leader politico. In questa palude melmosa sguazzano il populismo penale, i verdetti emessi dal tribunale della rete, la tentazione che la “gente” si faccia giustizia da sé. Nel tempo in cui un manipolo di aspiranti giacobini si è vantato senza pudore di una legge chiamata “Spazzacorrotti”, è in buona misura questa l’odierna realtà repubblicana. Spiace che FdI sia salito sul carro forcaiolo e giustizialista di Lega e Cinque stelle. Non ha chiesto fin qui la testa del sindaco di Milano, invece, Elly Schlein. Se tuttavia ci dovesse ripensare per timore di uno sgarbo al suo (in)fedele alleato Giuseppe Conte, si faccia raccontare da Pier Luigi Bersani il calvario giudiziario di Filippo Penati iniziato nel 2011. L’allora vicepresidente del Consiglio regionale lombardo fu accusato di essere il burattinaio del “sistema Sesto”. Quattro anni dopo, il dirigente del Pd – nel frattempo scaricato dal suo partito – fu assolto dall’accusa di corruzione perché quel sistema non esisteva. Sic transit gloria mundi.
Michele Magno
Un tema che ci siamo posti ieri pomeriggio. A Milano il punto è che non ci si limita a individuare responsabilità individuali. A Milano si fa di più. Si criminalizza il mestiere della politica, per demolire un modello di sviluppo urbano. Resta una domanda: un Pd garantista è ancora consentito o la repubblica dei pm si è mangiata anche la segreteria dei partiti?
Al direttore – Si chiude il cerchio del panpenalismo. La magistratura di Taranto ha preteso di gestire la politica industriale. La procura di Milano non si accontenta di intervenire sulle relazioni industriali, ma si impiccia nelle politiche del territorio di una città europea come Milano. Così a Taranto è stata massacrata la più grande acciaieria europea con migliaia di lavoratori condannati alla cassa integrazione per anni. A Milano è fermo il settore dell’edilizia e centinaia di famiglie non sanno se prima o poi entreranno in possesso dell’abitazione che in parte hanno già pagato. Gli uffici amministrativi sono chiusi perché non sanno come regolarsi. Non è un caso che sul Palazzo di giustizia sta scritto un brocardo iniquo: “Pereat mundus, iustitia fit”.
Giuliano Cazzola
Quando la politica accetta di delegare alla magistratura compiti che non spetterebbero alla magistratura, chiudendo gli occhi sulle esondazioni, il risultato è quello che si vede in questi giorni: i vuoti vengono riempiti, e quando la politica arretra in Italia di solito poi è la magistratura che avanza.