Eni firma un accordo ventennale con gli Stati Uniti per il rifornimento di gas naturale liquefatto. Un manifesto politico
Ieri l’Eni ha annunciato la firma di un contratto con l’americana Venture Global per l’importazione di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti. Eni acquisterà due milioni di tonnellate di Gnl all’anno (corrispondenti a circa 2,7 miliardi di metri cubi di gas), a partire dalla fine di questo decennio e per un periodo di vent’anni. La notizia è rilevante sia per il suo valore commerciale, sia per quello politico: lo conferma la reazione della Casa Bianca, che ha sottolineato come “il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, invita il continente ad aumentare le importazioni per evitare dazi pesanti”. La scelta di Eni è mossa, come è ovvio, da un interesse economico: l’azienda guidata da Claudio Descalzi ritiene evidentemente che i consumi italiani di gas, pur riducendosi nel tempo, resteranno significativi, tanto da giustificare un impegno del genere. Tuttavia, essa fa politicamente comodo al governo italiano e alla stessa Commissione europea, che possono mettere questo e altri accordi sul tavolo. Tutto il contrario, insomma, della strategia di chi vorrebbe minacciare Trump di abbandonare il Gnl a stelle e strisce e sostituirlo col gas russo. Non solo sarebbe un percorso complesso, contraddittorio e lungo – questo stesso contratto non è stato certo negoziato in quattro e quattr’otto – ma andrebbe contro agli interessi dell’Italia, dell’Unione europea e delle aziende che, in questi anni, si sono date da fare per scovare forniture alternative. Il gas non si trova per strada: per estrarlo e renderlo disponibile richiede ingenti investimenti, che gli operatori sono disposti a sostenere solo se hanno la ragionevole aspettativa di un mercato di sbocco. Il gioco dei due forni – dico a Trump che acquisto il gas da Putin e viceversa – rischia di lasciare col cerino in mano chi, oggi, sta costruendo un rapporto di fiducia coi nuovi fornitori, e contemporaneamente lo rende ostaggio della volubilità della politica. Come dimostrano le parole di Trump, la Casa Bianca è più sensibile al business e alle lusinghe che alle minacce, specie se non sono credibili.