Benedetto il teatro e benedetta la letteratura

Per Rafael Spregelburd la recitazione sa essere molto più forte di un testo o di un racconto. E due cotolette divorate sul palco non fanno ingrassare l’attore, perché non esistono nella vita reale. Un aneddoto dal libro “Sul mio teatro: Contagio e DISintegrazione”

C’è un aneddoto molto divertente raccontato da Rafael Spregelburd, regista, drammaturgo, attore, fondatore di Compagnie e uomo-tutto (“teatrista”, dicono dalle sue parti, in Argentina), cui il Teatro Due di Parma a novembre scorso ha dedicato un interessantissimo focus. L’aneddoto viene dal libro “Sul mio teatro: Contagio e DISintegrazione”, edito dalla non abbastanza celebrata, e pressoché sconosciuta, Cue Press – una bella casa editrice: ricco catalogo di testi di teatro contemporaneo, studi su autori, epistolari, contenuti digitali e interattivi.

Dice Spregelburd che la recitazione sa essere molto più forte di un testo o di un racconto. Perché recitare non è tanto “eseguire” quel testo, non si tratta cioè di essere braccio armato delle parole seguendo il principio della conformità, ma soprattutto il contrario. “Tutti noi abbiamo queste sensazioni un po’ confuse nel momento puro della recitazione, che quando cerchiamo di spiegare, dopo lo spettacolo, nel regno delle sole parole, diventano stupidaggini”. E racconta: “Mi ricordo che stavo scrivendo un testo, ‘La esacala humana’, nella quale il mio personaggio, il commissario Norberto Suardi, mangiava cotolette in scena insieme a María Onetto, Héctor Díaz, María Inés Sancerni, Gabriel Levy. A un certo punto, durante le prove, abbiamo scoperto che era molto divertente che Suardi mangiasse in modo sfrenato; insomma, stava nel mezzo di una tragedia piuttosto realista e la voracità nel mangiare era perfetta per la scena. In quella cena io mangiavo molto di più che durante una mia cena normale. Eppure, quelle cotolette non mi saziavano per niente, e quando uscivo dal teatro e andavamo tutti a mangiare, cenavo di nuovo e, spesso, con le cotolette, al Perlés. Ho scoperto anche che quello che mangiava il mio personaggio durante l’azione non mi faceva ingrassare”.

Non deve stupire. Il fatto è che quelle cotolette – le cotolette di Spregelburd (che titolo mirabile per un soggetto Adelphi su teatro, parola e realtà) – non accadevano nella vita reale. Nel mondo delle coordinate in cui ci muoviamo ogni giorno con la sensazione di vivere la realtà, realtà in cui cuciniamo, mangiamo, ridiamo, andiamo al cinema, facciamo l’amore, viaggiamo, lavoriamo, dormiamo, quelle cotolette (cotolette comprate in un supermercato vero, due ore prima dello spettacolo, cioè cotolette che venivano da quel mondo in cui noi cuciniamo, mangiamo, ridiamo, andiamo al cinema, facciamo l’amore, viaggiamo, lavoriamo, dormiamo), ecco, quelle cotolette, non esistevano. Il tempo del teatro, dice Rafael Spregelburd, è un “tempo planetario multiplo”, e la realtà ne subisce tutte le conseguenze.

Benedetto il teatro e benedetta la letteratura! Che – privilegio che appartiene solo a loro – prendono il tempo e ne fanno quel che vogliono: lo piegano, lo curvano, lo sovrappongono a se stesso, lo impilano in verticale o lo precipitano in diagonale. Scrivere è sempre scrivere su un terreno scivolosissimo, il cosiddetto presente, cioè un tempo che patisce la morte mentre è già in vita. Diffidare di chi scrive “del passato”, perché il passato è, ovviamente, nel futuro. E scrivere è proprio questo: una combustione continua che si rifiuta a ogni ordine, se non quello della mente che inventa, reinventa, costruisce appendici alla realtà e si serve dell’illusione di un presente, ma sa che il divenire continuo – in entrambi i sensi di marcia – è la materia della vita. Ciò che la letteratura deve saper raccontare.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.