Cercare un rifugio nei libri, soprattutto una speranza. Che accada l’impossibile

Dal Canto del mondo di Jean Giono a Simone Weil, fino alla riedizione della sceneggiatura del film mai realizzato su di lei da Liliana Cavani. Capolavori di sentimenti e intelligenza

L’altro giorno ero in auto e stavo ascoltando leggendo e vedendo le notizie – mentre guidavo! –. Consumavo un podcast dopo l’altro e scrollavo video da Gaza e dall’Iran, scorrevo i feed dei giornali e ogni tanto volavo persino sulla mail per controllare le newsletter a cui sono iscritta. E’ un movimento parossistico e sicuramente nocivo, non può non far male ubriacarsi di brutture, guerre e violenza, eppure in questo momento è difficile fare altro. Per questo nei libri (e ovunque) cerco un rifugio, e soprattutto una speranza. Edizioni Settecolori ha appena pubblicato la prima traduzione italiana del Canto del mondo di Jean Giono (1934), a cura di Leopoldo Carra.

E’ un romanzo d’avventura in cui la natura è protagonista quanto lo è Antonio, il pescatore di fiume che parte insieme al tagliaboschi Marinaio alla ricerca del gemello rosso, partito per costruire una zattera e mai tornato. I due risalgono il fiume, lo guadano tra i mulinelli, attraversano strette gole e approdano nell’aspro Rebeillard, una regione governata dal feroce Maudru, e popolata da personaggi arcaici come Clara la cieca e il curandero Touissant. E’ lui a esporre la filosofia ecologista di Giono, di obbedienza alla natura, sistema organico di cui l’essere umano fa parte al pari degli animali, piante, acqua e rocce. Tutto partecipa dell’erotismo spontaneo della natura, che prende vita attraverso la lingua: il fiume si dimena, il silenzio è minerale, le fiamme guizzano curiose, gli uccelli si lamentano soffocati dal profumo dei fiori in primavera, i corpi degli amanti si incontrano come montagne.

E’ la libertà mistica della natura che si accorda al suo stesso ritmo, il dispiegamento di sentimenti universali e senza tempo (forse proprio in virtù di questo più contemporanei dei romanzi contemporanei, connotati dai consumi e destinati a rapida obsolescenza). 
La voce della natura mi ha fatto venire voglia di rivedere quel capolavoro di intelligenza e delicatezza che è Reynette e Mirabelle di Éric Rohmer. Situazione da manuale, quasi proppiana: la ragazza di città e quella di campagna diventano amiche e si introducono ai rispettivi mondi. Il primo episodio è nel granaio diroccato di Reynette, che vuole a tutti i costi far vivere a Mirabelle l’ora blu: quel piccolo minuto prima dell’alba, quando gli uccelli della notte sono già andati a dormire e quelli del giorno ancora non si sono svegliati, l’unico momento in cui “la natura sembra trattenere il respiro”.


Questo filone diciamo cosmico e imbevuto di Cantico delle creature mi ha portato poi, forse non sorprendentemente, a Simone Weil. A maggio è uscita la riedizione della sceneggiatura del film mai realizzato su di lei da Liliana Cavani, Lettere dall’interno (Mimesis), pubblicato nel 1974 sui Nuovi Coralli Einaudi. Cavani mette in scena la parabola della vita di Weil: l’insegnamento, la scelta di lavorare in fabbrica per comprendere la sofferenza operaia, la guerra civile spagnola, le riflessioni sull’Europa da costruire dopo la guerra, la morte precoce nel sanatorio a Londra. Da qui Cavani le fa dire queste parole: “Questa mia anima che è nel mio aureo è più piccola di un grano di riso, di un grano di orzo, di un grano di miglio; questa mia anima che è nel mio cuore è più grande della terra, più grande dello spazio, più grande del cielo, più grande di tutti i mondi”. E’ un invito a farsi stupire dall’immensità nel minuscolo, a scoprire l’infinito del cielo contenuto nel cuore. Concludo con un libro che mi aspetta sul comodino, ma che mi sembra chiuda (e apra) questo cerchio: Che accada l’impossibile di Padre Guidalberto Bormolini (Mondadori), la promessa di un pensatore coltissimo: un breviario per trasformare la disperazione che domina il nostro tempo in speranza e imparare a sognare l’impossibile.

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