Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard ci arrivano senza intoppi: vogliono giocarselo solo loro. Ma occhio al terzo incomodo
C’erano anni nei quali – anni bambini e adolescenti – a luglio, se si era al mare, la spiaggia non era il centro di tutto. O almeno il pomeriggio. Perché in spiaggia, almeno il pomeriggio, c’erano sì la sabbia, le onde, i materassini, le biglie, il gelato, il coccobelobelobelo, il pallone, gli amici e poi, più in là con gli anni, le turiste straniere, ma non c’era ciò che rendeva luglio il migliore dei mesi: il Tour de France.
I luglio di quegli anni bambini e adolescenti erano mattinate d’attesa, televisioni accese all’ora giusta, quella dell’inizio della diretta. E poi occhi incollati sullo schermo per vedere pedalare i corridori in quella terra coi nomi strani pieni di sci e ics e iu e a ed e in più di quelle che poi effettivamente venivano pronunciate dai telecronisti. A volte erano pure dei gran pisoli mentre le immagini inquadravano campagne gialle come la maglia del primo della classifica. Pisoli che finivano sempre, come per magia – e anche qui stava la meraviglia –, ai due chilometri dall’arrivo, quando i gregari erano già tutti in fila e i velocisti pronti a schivare cadute e a sprintare a velocità folle.
A sentire tanto antifrancesismo in giro viene da sospettare che quella gente che parla della Francia come del peggiore dei mondi possibili non abbia mai vissuto quelle estati. Peccato per loro.
Da un po’ di anni quelle estati bambine e adolescenti sono tornate. O quanto meno è sparita la nostalgia quegli anni lì. Il passato è tornato a essere solo ricordo, è stato svuotato da quell’aura di meraviglia ed eccezionalità. Luglio è ancora il mese del Tour de France e l’avvicinarsi di un nuovo Tour de France è un misto di eccitazione, curiosità, bramosia di vedere come andrà a finire. La voglia irresistibile di scoprire cosa combineranno quegli uomini che su di una bicicletta è da un po’ di Grande Boucle che trasformano le strade in un film, che scattano, si inseguono, si staccano, si ricompattano, ogni tanto si trasfigurano, alla ricerca della maglia gialla.
A partire da quei due, dai soliti due: Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard.
E quest’anno sarà speciale. Perché se negli ultimi due anni il Tour de France iniziava sbilanciato per cadute passate, quest’anno alla Grande Boucle Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard si presentano al via senza fratture recenti o botte nel fisico e nel morale.
L’ultima volta che accadde fu nel 2022. E fu uno spettacolo lungo tre settimane che si concluse con Jonas Vingegaard in maglia gialla sul gradino più alto del podio di Parigi e Tadej Pogacar al suo fianco. Nel 2023 lo sloveno si presentò al via di Bilbao con un polso dolorante dopo la frattura subita alla Liegi-Bastogne-Liegi. Un anno fa fu invece il danese a partire da Firenze ancora coi postumi della spaventosa caduta al Giro dei Paesi Baschi.
Dal 2022 a oggi però molto è cambiato.
Jonas Vingegaard non sembra essere più il miglior scalatore in circolazione e, le ultime volte che ha corso accanto a Tadej Pogacar, ossia al Tour di un anno fa e al Critérium du Dauphiné di quest’anno, solo tre volte gli è finito davanti, poche volte gli è stato a ruota, spesso si è staccato.
Tadej Pogacar è riuscito invece a fare ciò che in pochissimi sono riusciti a fare: vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France. E già che c’era s’è vestito pure con i colori dell’iride, come solo Eddy Merckx e Stephen Roche c’erano riusciti nella storia del ciclismo. Oltre a Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia come non ha fatto nessuno in un anno solare.
E inoltre la superiorità di allora della Jumbo-Visma, ora Visma | Lease a bike, nei confronti del UAE Team Emirates non c’è più. La squadra di Jonas Vingegaard e quella di Tadej Pogacar si equivalgono, piene zeppe di corridori di eccellente talento.
Quei due, i soliti due, vorrebbero rendere il Tour de France 2025 una questione privata. Potrebbe essere così. Perché di corridori al loro livello ancora non ce ne sono. Eppure, c’è chi è determinato a fare il terzo incomodo il più possibile e, magari, provare tra cronometro e tappe collinari, a sfruttare il proprio enorme talento per provare a metterli in difficoltà: Remco Evenepoel.
Il corridore belga ha passato un inverno tra ospedale e riabilitazione, è tornato in gruppo in primavera, al Delfinato non è mai riuscito a tenere la loro ruota, ma è un testone che non sa nemmeno cosa vuol dire partire battuto.
Uno fatto della stessa tempra di Primoz Roglic. Lo sloveno però ha iniziato a sentire il tempo che è passato e le cadute che si sono sommate negli anni. Ciò che non è cambiato è il suo sguardo: enigmatico e sfuggente. Soprattutto determinatissimo. È da anni che dicono che il meglio se lo è lasciato alle spalle. È da anni che lui se ne frega e riesce a trovare sempre il modo di riscrivere la sua storia ciclistica. Deve però evitare l’asfalto, perché l’asfalto genera su di lui una forza di gravità maggiore.
In ogni caso la Red Bull – BORA – hansgrohe, la sua squadra, si è tutelata con Florian Lipowitz. Il tedesco è giovane, 24 anni, nessuno l’ha mai considerato un campione, quindi è maturato tranquillamente e senza stress, e soprattutto ancora non si è capito quali siano i suoi limiti. A casa Red Bull sono sicuri di una cosa però: “Non mi stupirei riuscisse a chiudere tra i primi cinque. E non mi stupirei nemmeno se finisse tra i primi tre”, ha detto al Foglio sportivo chi lo ha seguito a lungo nelle ultime due stagioni. Si vedrà.
Quel che senz’altro si vedrà sarà una prima settimana caotica, piene di salitelle fastidiose, di trappole da sfruttare. Perché le prime sette tappe di questo Tour de France 2025 sembrano una pista per le biglie piena zeppa di trabocchetti. Una di quelle piste per le biglie che si costruivano nelle lunghe estati bambine e adolescenti. Sulle quali facevamo scorrere le biglie con le foto dei corridori immaginando che Pantani, Indurain, Hinault, Merckx, Coppi e Bartali fossero uno accanto all’altro a scattarsi in faccia, a rincorrersi, a cercare di mandare in crisi tutti gli altri. Sfide solo mattiniere però, perché al pomeriggio la spiaggia era un luogo molto più lontano di quelle terre che vedevamo in tivù, piene di sci e ics e iu che facevano da sfondo al passaggio dei corridori del Tour.