Lezione di storia e giudizi etici. La sentenza “iraniana” di Torino

Il tribunale torinese ha depositato le motivazioni della sentenza sul “caso Bigliettopoli”. Nonostante i principali imputati siano stati assolti, i giudici spiegano come si è evoluta la corruzione dal “tardo impero romano” a oggi e si lanciano in commenti etici

“Nel tardo impero romano, e poi per molti secoli a venire, la regola fu quella della sportula: il privato che chiedeva un provvedimento amministrativo era tenuto a consegnare al pubblico funzionario un compenso in danaro o in natura. Il provvedimento amministrativo, infatti, non era oggetto di un diritto del cittadino, ma di una graziosa concessione fatta dal funzionario imperiale al suddito, che era perciò tenuto a sdebitarsi”. Le righe che avete appena letto non sono tratte da un manuale di storia, ma da una sentenza scritta da giudici italiani. Parliamo della sentenza emessa dal tribunale di Torino lo scorso 26 marzo, di cui ora sono state depositate le motivazioni, sul cosiddetto “caso Bigliettopoli”. L’inchiesta, avviata nel 2015 dal pm Gianfranco Colace, si è conclusa con l’assoluzione dei principali imputati (sette), tra cui Giulio Muttoni, noto imprenditore del settore degli eventi e dei concerti, da accuse molto gravi come corruzione e turbativa d’asta. Sei imputati invece sono stati condannati, ma anche nei loro confronti sono cadute le accuse più pesanti (la pena più alta è stata inflitta a un ex poliziotto: due anni e tre mesi per acceso abusivo a sistema informatico). Insomma, l’impianto accusatorio su cui si fonda la maxi inchiesta messa in piedi da Colace (durante la quale Muttoni è stato intercettato oltre 30 mila volte) è crollato. Nonostante ciò, si resta a dir poco interdetti di fronte alle motivazioni redatte dal collegio giudicante, presieduto da Paolo Gallo. La sentenza, infatti, proprio nella parte che riguarda il principale imputato assolto, Muttoni, è piena di lezioni di storia e di giudizi etici nei confronti delle persone coinvolte. Non proprio ciò che ci si aspetterebbe da una sentenza giudiziaria.

I giudici scrivono che per ben diciassette episodi corruttivi contestati a Muttoni non è stato trovato alcun fondamento. Muttoni, a capo dell’azienda Set Up (poi fallita a causa dell’inchiesta), era solito donare biglietti omaggio per i propri eventi. Il suo legale ha calcolato che circa 8.000 biglietti omaggio furono distribuiti nel corso degli anni al centro dell’inchiesta ad autorità, funzionari, giornalisti, magistrati e altre personalità. I giudici di Torino hanno concluso (in maniera anche discutibile) che solo in un caso si sarebbe configurato il reato di corruzione, ma questo è andato in prescrizione.

Anziché limitarsi, comunque, alla disquisizione delle questioni giuridiche, il tribunale di Torino si lancia in una lezione storica sul divieto di effettuare donazioni a pubblici dipendenti, partendo da quanto avveniva nel “tardo impero romano” per poi giungere ai giorni nostri: “Una lunga evoluzione storico-politica ha portato oggi a una completa inversione di prospettiva – scrivono i giudici – Secondo l’art. 98 della nostra Costituzione ‘i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione’ e i loro obiettivi primari devono essere il buon andamento e l’imparzialità (art. 97) senza che possa residuare spazio alcuno per pratiche comportamentali finalizzate al lucro personale; i pubblici funzionari sono retribuiti per la loro attività esclusivamente dallo stato (o dagli altri enti pubblici), e devono astenersi dal richiedere o accettare denaro o altre utilità dai privati fruitori dei servizi”.

A questa lezione di storia si aggiungono poi commenti di carattere etico. Fare regali ai pubblici ufficiali “è un’abitudine che dovrebbe semplicemente cessare”, affermano i giudici, anche se nella vicenda in questione, come detto, sul piano penale non è emersa alcuna prassi di regali con finalità corruttiva. E ancora: “Ad avviso di questo collegio ciò dovrebbe imporre una radicale revisione critica (in senso abrogativo) di tutte quelle norme amministrative interne e – sul versante opposto – di quelle policy aziendali che invece prevedono e consentono che i privati consegnino omaggi ai pubblici ufficiali chiamati a rilasciare pareri o autorizzazioni nei loro confronti”, scrivono i giudici.

Il dubbio sorge spontaneo: siamo ancora in Italia o in Iran?

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

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