A un anno dalle elezioni, il governo di Keir Starmer appare logorato da indecisioni, misure impopolari e una comunicazione disastrosa, nonostante la sua immagine moderata e competente. Il rischio è che senza una visione chiara e condivisa, il capitale politico accumulato nel 2024 svanisca nel disincanto
Chissà se i matrimoni si riprendono dopo le lune di miele disastrose, se i nodi del primo anno possono sciogliersi in un futuro roseo. E’ questo il tipo di domande che circonda il governo di Keir Starmer, premier perbene – in generale glielo si riconosce – ma capace di erodere in maniera piuttosto dilettantistica lo straordinario consenso emerso dalle urne 2024 con un’intransigenza eccessiva, quasi sempre seguita da retromarce, e con una curiosa tendenza agli appelli sofferti e alle misure impopolari senza un racconto in grado di rendere il tutto politicamente accettabile. Insomma, nel paese degli shopkeepers, come lo chiamava Napoleone, Sir Keir è l’unico a non essere capace di vendere niente. E i bilanci sull’anniversario sono impietosi – “ricorrenza triste, non da torta”, scrive l’ Economist – soprattutto dopo che il senso di indecisione di questo periodo ha avuto una piena rappresentazione iconografica nelle lacrime di Rachel Reeves in Parlamento – ne è scesa una, poi il labbro ha tremato, le occhiaie erano profonde, l’aria scossa – per presunte ragioni private in straordinaria coincidenza con un question time rovente, in cui il premier non ha voluto confermare che la cancelliera rimarrà al Treasury fino a fine legislatura.
Lacrime che sono cadute come piombo sui mercati, facendo sprofondare la sterlina e provocando un balzo dello spread, e che sono state seguite da promesse fin troppo vincolanti in cui ha fatto sapere che certo, Reeves sarà sempre la sua cancelliera. O il suo “scudo umano”, come preferiscono dire i detrattori, che sottolineano come il fallimento non possa che venire da Number 10, che non ha mai saputo impostare una visione chiara di come riformare il paese dopo gli anni neri della Brexit e del carosello di Tory e che ora si ritrova con un buco di bilancio da 5 miliardi dopo aver fatto un passo indietro sulla promessa di tagliare al welfare in seguito alla rivolta dei deputati sui benefit per i disabili. Credibilità e finanze sono andate a farsi benedire, anche perché sulle seconde il rischio di dover aumentare le tasse è sempre più concreto e questo assesterebbe un colpo definitivo alla prima, visto che Starmer era stato eletto con un programma centrista e la promessa di non mettere mano nelle tasche dei cittadini, cosa che comunque ha già fatto, seppur in maniera indiretta.
Le parole di una cancelliera di ferro in lacrime non valgono molto di più e l’unico argomento a favore dell’accoppiata Starmer-Reeves è che almeno loro, così simili nell’essere austeri e terribili comunicatori, non si dedicheranno a imprese spericolate come quelle di Truss-Kwarteng. Una sostituzione a questo punto sarebbe nociva, anche perché Reeves – una che aveva pubblicato un libro sulle donne dell’economia con ampi passaggi copiati da altri – ha fatto solo quello che le è stato chiesto, ma vendendolo ancora peggio di come l’avrebbe venduto Starmer stesso. Altre figure farebbero lo stesso, ammesso di potersi riprendere dalla ferita di una sostituzione. Ma i danni possono essere comunque pesanti, come si è visto mercoledì sui mercati che hanno reagito appena meglio che ai tempi di Liz Truss, anche perché la famosa crescita non si è verificata e soprattutto è stata una lunga stagione di delusioni, di capitale sprecato, di plateale esibizione del fatto che una proposta di sinistra moderata non c’è e che il riformismo non ha più un portavoce credibile. Sull’immigrazione Starmer ha seguito le inquietudini di Reform Uk, salvo poi scusarsi per aver usato il termine “isola di stranieri” a proposito del Regno Unito troppo multietnico, inconsapevole di quanto riecheggiasse Enoch Powell.
I sondaggi non lo premiano, la sua popolarità è ai minimi e le sue riforme giudicate troppo timide; inoltre in un anno è riuscito ad attirare l’attenzione su misure impopolari ai limiti del sadismo tipo il bonus per il riscaldamento agli anziani, che gli hanno alienato il sostegno di deputati politicamente più scaltri. Sul piano dell’immagine internazionale, all’estero ha ancora una sua credibilità e ha fatto cose buone, come promuovere un riavvicinamento con Bruxelles, tenere a bada il presidente americano Trump e garantire un sostegno all’Ucraina. Ma alla fine quello che è mancato fin qui è un racconto complessivo, un’idea di società, qualcosa che permetta di chiedere alla gente di tirare la cinghia inseguendo un obiettivo e di fare tutto quello che è necessario per rimettere insieme i cocci di un paese che nel 2016 ha votato contro sé stesso e non ha ancora finito di fare i conti con la destabilizzazione che ne è seguita.