Centinaia di miliardi di spese senza coperture, per la Corte dei Conti i bonus edilizi sono stati un vulnus al principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio. Ma è una violazione contro cui nessuno può ricorrere e di cui nessuno è responsabile
Il Superbonus è stato un economicidio: un crimine contro la finanza pubblica, ma anche contro la Costituzione. Su queste colonne lo scriviamo da qualche anno, ma alla stessa conclusione è giunto – con parole più misurate ma non meno nette – il procuratore generale della Corte dei Conti Pio Silvestri: “La mancata previsione di un limite o di un tetto di spesa nei vari provvedimenti normativi che hanno disciplinato o prorogato il Superbonus sin dal 2020 – come sarebbe stato necessario nel rispetto dell’art. 81 della Costituzione (corsivo della Corte, ndr) – abbia determinato un notevole impatto negativo sui saldi di finanza pubblica, che ha reso necessaria la revisione delle previsioni di spesa nel 2024 da 0,7 a 3,4 punti di pil”.
Nel giudizio sul Rendiconto generale dello Stato, presentato dalla Corte dei conti lo scorso 26 giugno, un capitolo specifico è dedicato alla storia e agli effetti sul bilancio della stagione dei bonus edilizi, cominciata nel 2020 con il dl Rilancio del governo Conte II. La memoria del procuratore generale Silvestri e dei suoi colleghi è importante perché, per la prima volta, fornisce un quadro dettagliato del costo dei bonus edilizi. Il totale è di 229 miliardi dal 2020 al 2024. Suddivisi per tipo di intervento in 165,5 miliardi di Superbonus; 25,7 miliardi di Bonus facciate e 37,8 miliardi di altri bonus (ristrutturazione, eco e sisma). Quanto al profilo temporale 60,1 miliardi sono stati spesi nel 2020/21; 68,4 nel 2022; 90,7 nel 2023 e 9,7 nel 2024 (-90%, dopo che il ministro dell’Economia Giorgetti ha chiuso il Superbonus).
L’altra tabella interessante della memoria della Corte dei conti riguarda quanta parte di questa massa enorme di crediti d’imposta è andata in compensazione: 95 miliardi di euro. In pratica, mentre la stagione dei bonus è quasi finita, resta da pagare ancora oltre la metà del conto. Vuol dire che, ogni anno, man mano che i crediti vanno a scadenza, lo Stato perde entrate: 0,3 miliardi nel 2021; 6,3 miliardi nel 2022; 20,8 miliardi nel 2023; 42 miliardi nel 2024. Il 2025 pare destinato a essere l’anno record, dato che solo nei primi 5 mesi dell’anno si sono abbattuti sul debito pubblico 26 miliardi di euro di crediti. Di questo cumulo di debiti è stata pagata solo la metà del Superbonus (79 miliardi), il resto verrà saldato fino al 2027 (e proprio questa eredità è ciò che fa ancora crescere il debito pubblico, nonostante la riduzione del deficit).
Questo è il problema economico, con cui il paese sta facendo i conti. Ma ne esiste un altro, mai affrontato da nessuno, che è di tipo giuridico-istituzionale: la violazione dell’art. 81 della Costituzione, quello sull’equilibrio di bilancio che al terzo comma sancisce che: “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. Non è accaduto in questo caso, perché le relazioni tecniche dei provvedimenti sul Superbonus e i suoi fratelli, effettuate dal Mef e bollinate dalla Ragioneria generale dello stato (Rgs), stimavano un costo di circa 70 miliardi: il conto finale, invece, si è rivelato di oltre 150 miliardi superiore. Un buco di bilancio che è il più grande della storia italiana e d’Europa: una spesa non prevista dal governo e non autorizzata dal Parlamento, che è stata riconosciuta solo ex post dall’Istat.
Com’è potuto accadere? Nessuno ha dato una risposta precisa, anche perché nessuno sembra interessato a chiederla. Basti pensare che sul tema esistono due indagini conoscitive – una in commissione Bilancio della Camera sui bonus edilizi e una in commissione Finanze del Senato sui crediti d’imposta – che hanno finito di lavorare ad aprile-maggio 2023 e, dopo due anni, non hanno prodotto alcun documento conclusivo. Non importa a nessuno. Eppure ci sarebbe da chiedere, e da spiegare, come mai Mef e Rgs abbiano sbagliato enormemente le stime e abbiano tolto tutte le precauzioni abitualmente usate per contenere la spesa dei crediti d’imposta automatici: tetto alla spesa, autorizzazione preventiva alla spesa, monitoraggio della spesa. E non è chiaro come è stato possibile togliere questi strumenti di controllo proprio per il credito d’imposta più pericoloso, dato che era pari al 110% (quindi senza alcun contrasto d’interessi) e consentiva la cessione del credito (quindi senza alcun vincolo di liquidità). Sono domande che il Parlamento non pone e a cui Mef e Rgs non rispondono.
Come dice ora anche la Corte dei Conti, il Superbonus è stato un’enorme e chiara violazione dell’art.81. Ma l’aspetto singolare è che si tratta di una violazione contro cui nessuno può ricorrere – su questo deficit istituzionale dovrebbero interrogarsi sia la Corte costituzionale sia il Presidente della Repubblica – e che non ha responsabili: il crimine perfetto.