Il numero 3 del Psoe in (quel) carcere è un colpo bestiale a Sánchez

L’arrivo nella prigione di Soto del Real di Santos Cerdán ha distrutto forse per sempre la credibilità di quel messaggio di pulizia e rinnovamento che il partito cerca di trasmettere da quasi un decennio agli elettori spagnoli. Nel frattempo, fra i socialisti qualcuno chiede un passo indietro al premier

La prigione di Soto del Real, che si trova a circa 30 chilometri da Madrid, laddove la metropoli cede rapidamente il passo ai panorami impolverati della Spagna vuota, ha ospitato in passato sia l’ex tesoriere del Partito popolare Luis Barcenas sia l’ex ministro dell’Economia ed ex vicepremier (nonché ex direttore del Fondo monetario internazionale) Rodrigo Rato, anche lui del Pp. Da due giorni quello stesso carcere ospita Santos Cerdán, che fino al 12 giugno è stato segretario dell’organizzazione – cioè numero tre – del Partito socialista. Cerdán, insieme con l’ex ministro dei Trasporti José Luis Ábalos e al loro potente factotum Koldo García, è indagato come presunto protagonista di una rete di corruzione. Il giudice che lunedì ha deciso di trattenerlo in custodia cautelare proprio in quel penitenziario ha assestato al Psoe un colpo durissimo, distruggendo forse per sempre la credibilità di quel messaggio di pulizia e rinnovamento che il Psoe di Pedro Sánchez cerca di trasmettere da quasi un decennio agli elettori spagnoli.

La simbologia è fondamentale: sarà ben difficile cancellare l’immagine dell’uomo di fiducia del premier che varca la soglia dello stesso carcere in cui furono rinchiusi i due uomini – Barcenas e Rato, appunto – che hanno incarnato la prova che nel Pp la corruzione si fosse diffusa come un rampicante dalle fondamenta fino alla cupola. Cerdán ha sostenuto davanti al giudice di essere un perseguitato politico, che viene colpito in qualità di architetto del sistema di alleanze che ha portato Sánchez alla guida del paese. “C’è una parte dei poteri di questo paese, dentro e fuori dallo stato, che non hanno accettato che Sánchez sia rimasto al governo dopo le elezioni del 2023”, ha detto. E il guaio, per Sánchez, è che Cerdán ha ragione. Non sul fatto di essere un perseguitato né sul fatto che ci siano dei “poteri” che tramano contro Sánchez – al netto del fatto che il premier negli ultimi anni abbia dovuto misurarsi anche con un certo numero di propalatori di postverità. Cerdán ha detto senz’altro la verità sul ruolo determinante da lui ricoperto nel confezionamento di alcune delle alleanze politiche che hanno permesso a Sánchez di avere fin qui i numeri per governare: con il Partito nazionalista basco, con gli indipendentisti (sempre baschi) di EH Bildu e soprattutto con Junts il movimento separatista guidato da Carles Puigdemont. Fino a pochi giorni fa il negoziatore in chief incaricato dal Psoe, e quindi dal governo, di tenere i rapporti con i capricciosissimi ed esigentissimi emissari dell’ex presidente catalano, che fin dal giorno zero del lavoro di questo esecutivo hanno posto a ogni piè sospinto ricatti di ogni sorta, era proprio Cerdán che ha dimostrato grande abilità in questo ruolo, per il quale, peraltro, non è ancora stato individuato un sostituto.

In vista del comitato federale del Psoe in programma per sabato sono sempre di più i dirigenti socialisti e gli analisti non ostili al partito che si azzardano a sussurrare che sarebbe opportuno che in quell’occasione Sánchez indicesse un congresso straordinario. Poi c’è chi parla più ad alta voce. Lo fa, da mesi, il presidente regionale socialista della Castiglia-La Mancha, Emiliano García-Page, secondo cui la parabola di Sánchez dovrebbe essersi conclusa da mo’ – ma l’inimicizia di Page con Sánchez è cosa nota e il suo contrappunto interno al partito è assimilabile a quello interpretato da Vincenzo De Luca nell’ambito del Pd. Lo fa da anni il padre del moderno socialismo spagnolo, Felipe González, che non ha mai stimato Sánchez e che dopo l’ok da parte del Tribunale costituzionale alla legge di amnistia confezionata dai socialisti su misura per Puigdemont (anche e soprattutto) per ottenerne i voti in Parlamento ha detto che la prossima volta non voterà per il Psoe. E lo ha fatto, ieri, lo scrittore Javier Cercas, elettore socialista di lungo corso, che ha scritto un articolone sul País che gira attorno a un’idea ben precisa: la maggior vittoria per Sánchez sarebbe fare un passo indietro per smentire i suoi avversari e ri-nobilitare tutto il suo percorso politico. Intanto, il leader del Pp, Alberto Núñez Feijóo, sonda i partiti che fin qui hanno sostenuto Sánchez per capire se sosterrebbero una sua mozione di censura (e cioè un ribaltone): Puigdemont ha subito sfoderato l’asso: “Vuoi parlarci, Alberto? Devi venire a Waterloo”. Una cosa che Feijóo, secondo cui Puigdemont non è un esiliato ma un latitante, non può certo fare.

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