Il Green deal europeo è stato svuotato. Chi ha cambiato posizione

La Commissione presenta (in ritardo) gli obiettivi climatici dell’Ue per il 2040. Ma il gruppo pro green deal si assottiglia. Con la retromarcia di Francia e Germania, solo Spagna, Danimarca, Svezia, Finlandia e Slovenia restano in prima linea

Bruxelles. La Commissione di Ursula von der Leyen ha presentato la sua proposta sugli obiettivi climatici dell’Ue per il 2040, confermando la volontà di tagliare le emissioni di CO2 del 90 per cento per raggiungere la neutralità carbonio nel 2050. Ma, sotto la pressione di un numero crescente di leader e governi, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, la Commissione offrirà ampie flessibilità agli stati membri per raggiungere gli obiettivi, compresa la possibilità di esternalizzare gli sforzi fuori dall’Unione europea, contro il parere degli esperti scientifici che consigliano l’esecutivo comunitario. Con i “crediti carbonio internazionali” gli stati membri potranno finanziare progetti in paesi fuori dall’Ue e conteggiare la quota di riduzione delle emissioni per proprio conto. Altre flessibilità dovrebbero essere concesse per i settori difficili da decarbonizzare. Al di là dei tecnicismi, questo è l’ennesimo segnale politico che la ribellione contro il Green deal ha raggiunto i vertici dell’Ue. A guidare l’offensiva contro gli obiettivi 2040 all’ultimo Consiglio europeo è stato Macron, il capo di stato e di governo che ha sostenuto con maggiore forza gli accordi di Parigi del 2015. Dieci anni dopo, sulla marcia a tappe forzate per ridurre le emissioni, “sempre più leader sono convinti che sia un problema”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. “La Francia dimostra che alcuni stati membri, che erano a favore dei regolamenti adottati in passato, stanno cambiando posizione”.

La presentazione degli obiettivi per il 2040 è un obbligo giuridico per la Commissione ed è strettamente legata agli impegni per il 2035 che l’Ue deve assumere in vista della Cop30 in Brasile (i cosiddetti Contributi determinati a livello nazionale o Ndc). Ursula von der Leyen è già in ritardo. Le proposte dovevano essere presentate già nel giugno del 2024, ma sono state rinviate a causa delle elezioni europee. Poi sono state nuovamente posticipate per andare incontro alle richieste dei grandi governi. Il tempo stringe. L’Ue deve inviare gli impegni per il 2035 entro settembre e si deve trovare un accordo all’unanimità tra i Ventisette. La proposta “arriva in ritardo”, “sarà abbastanza complicato” e “non abbiamo molto tempo”, si è lamentato l’ambasciatore danese, Carsten Grønbech-Jensen, il cui paese ha assunto ieri la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue e che dovrà guidare le trattative tra i governi. La Danimarca è tra i paesi più favorevoli alle politiche climatiche e, come altri, è rimasta sorpresa quando Macron ha chiesto di discutere degli obiettivi per il 2040 al Consiglio europeo del 26 giugno. Il presidente francese ha chiesto di “disaccoppiare” gli sforzi per il 2035 da quelli per il 2040 e, per non danneggiare nel breve periodo la competitività e l’economia, di concentrarsi sulla scadenza della neutralità carbonio nel 2050. Per altri paesi – e gran parte della comunità scientifica – non ha senso, perché la riduzione delle emissioni deve essere lineare. Concentrare gli sforzi in un breve periodo di tempo in un futuro lontano è una ricetta per il fallimento.

L’ondata di caldo che sta colpendo l’Europa e i risultati di un Eurobarometro, secondo il quale l’85 per cento dei cittadini europei continua a considerare il cambiamento climatico come una minaccia “molto grave” o “piuttosto grave”, aiuteranno la Commissione a mantenere in parte la rotta. Il principale obiettivo della Francia è vedere il nucleare riconosciuto tra le tecnologie pulite, al pari delle rinnovabili, in modo che possa beneficiare di massicci investimenti pubblici e privati. Ma il gruppo di paesi pro Green deal si assottiglia. Solo Spagna, Danimarca, Svezia, Finlandia e Slovenia rimangono in prima linea. Polonia e Italia sono risolutamente nell’altro campo. In Germania l’accordo di coalizione conferma la riduzione del 90 per cento delle emissioni entro il 2040, ma il cancelliere Friedrich Merz chiede una retromarcia sulle misure del Green deal. Ursula von der Leyen lo ha accontentato. Alcune delle misure chiave adottate tra il 2019 e il 2024 – la legge sulla deforestazione, le direttive sugli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità, il meccanismo “carbonio alla frontiera”, le multe per i produttori di auto – sono state sospese, rinviate o svuotate. L’ultima vittima è la proposta di direttiva sui “green claims” che mira a lottare contro il greenwashing. Von der Leyen ha annunciato l’intenzione di ritirarla, provocando una ribellione di socialisti e liberali. Il prossimo bersaglio è il sistema Ets2, che dal 2027 imporrà a famiglie e imprese una tassa sulle emissioni di automobili e riscaldamento.

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