Meloni cita il “modello” italiano sul Pnrr. Giorgetti rischia il pasticcio

Ora che l’Unione europea è più elastica, il ministro dell’Economia fa il puntiglioso sui soldi non spesi per dirottarli sulle armi

I primi due passaggi della missione della task force europea a Roma, cominciata lunedì scorso, sono andati lisci per l’Italia: l’approvazione della settima rata, annunciata ieri, con il raggiungimento di 64 fra target e milestone previsti per fine 2024 e l’incasso di 18,3 miliardi, e la presentazione della richiesta dell’ottava rata, per un importo di 14,7 miliardi (12,8 al netto dell’anticipazione), non presentavano particolari problemi. Il cuore degli incontri di questi giorni, prima a livello tecnico e poi da domani con la direttrice della task force europea per il Recovery Plan, Céline Gauer, è invece un raccordo e una messa a punto in vista della presentazione della proposta italiana di revisione generale definitiva del Pnrr.

La comunicazione di Raffaele Fitto, che individua otto possibili vie di uscita per non perdere i fondi (si veda il Foglio del 12 giugno scorso) ha spianato la strada a un’intesa che non sarà certamente formalizzata in questi giorni, ma che coinciderà con un sostanziale accordo sulla proposta che il ministro del Pnrr, Tommaso Foti, presenterà entro la fine del mese.

Se i rapporti con la commissione sembrano volgere al bello, la tensione sulla revisione del Pnrr da presentare è tutta interna al governo. Sono settimane che i rapporti fra i ministeri titolari delle risorse Pnrr e il Mef sono tesissimi. La ragione è che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, conta sulle risorse dei progetti Pnrr in ritardo per finanziare una quota consistente, circa 13-15 miliardi, delle spese militari su cui l’Italia si sta impegnando nelle sedi europee e Nato.

La situazione è diventata quindi paradossale: la Commissione Ue allenta la presa sui progetti in ritardo consentendo, in varie forme, di reimpiegare i fondi con impegni assunti entro il giugno 2026 ma spesi più avanti, mentre Giorgetti fa ormai uno screening puntiglioso e severo degli investimenti che non chiuderanno in tempo, per recuperare risorse al suo obiettivo. Si aggiunga che, a facilitare l’operazione di Giorgetti, c’è il fatto che la stessa comunicazione Fitto, in una delle otto opzioni, consente proprio di trasferire le risorse non spese ai progetti della Difesa.

Il tira e molla interno al governo rischia così – ed è il secondo paradosso – di essere messo in scena in questi giorni proprio davanti alla Commissione, con diverse opzioni messe sul tavolo. Le modalità con cui la missione europea si svolge potrebbero avere un peso rilevante ai fini della conclusione della partita: i primi tre giorni, infatti, sono dedicati agli incontri con i singoli ministeri di spesa e in questi incontri si mettono a punto possibili soluzioni “tecniche” sul percorso che porterà alla fine del Pnrr. I ministeri più smart e attrezzati sul Pnrr potranno quindi già definire soluzioni mirate a salvare la loro dote finanziaria dai tentativi di Giorgetti di prelevarne una quota. Una volta che la commissione si sarà convinta che la blindatura dei fondi per la casa, il digitale, la sanità, la trasformazione green, gli investimenti idrici, i treni, i bus ecologici, gli studentati – solo per fare esempi di cui si sta discutendo – siano buone soluzioni per continuare anche dopo il 2026 con la rotta virtuosa di investimenti e riforme, sarà più complicato far scattare la “tagliola” in favore delle armi.

Saranno i singoli ministri, in ultima analisi, a dover difendere la loro dote e le prossime ore saranno molto complicate. Qualcuno può immaginare che Matteo Salvini rinunci ai suoi 500-600 milioni (almeno) per il Piano casa per destinarli agli obiettivi del Mef? Difficile da pensare. Né è chiaro nella partita che ruolo vorrà avere Giorgia Meloni e se un ruolo potrà e vorrà avere Foti. Certo è che nei ministeri romani in queste ore non si parla d’altro.

Difficile dire da che parte stia la premier provando a decifrare il comunicato di ieri che, oltre a riproporre la consueta enfasi sul “primato europeo nell’avanzamento del Piano con oltre 140 miliardi di euro ricevuti” e “334 tra milestone e target raggiunti”, ha sottolineato che “si tratta di un primato anche qualitativo”. Perché “abbiamo dimostrato di essere capaci di utilizzare in modo virtuoso gli strumenti che l’Europa ci ha fornito e siamo diventati un modello per gli altri stati membri”. L’impressione è che parole di questo genere rendano più difficile il tentativo di Giorgetti: se siamo stati addirittura d’esempio al resto d’Europa come facciamo a sottrarre al Pnrr una consistente dotazione finanziaria per destinarla a obiettivi che con il Pnrr non c’entrano nulla, motivando pubblicamente lo spostamento che molti progetti sono in forte ritardo?

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