Il fragile accordo tra Congo e Ruanda, di cui Trump si intesta i meriti

Considerato “storico” e fortemente voluto dalla Casa Bianca (soprattutto per interessi legati ai minerali preziosi), l’accordo per porre fine ai conflitti che insanguinano l’est del Congo da trent’anni è esposto a molte incertezze. I due paesi si impegnano a cessare le ostilità, ma il gruppo di ribelli congolesi M23 è il grande assente

Trump annuncia di aver risolto un’altra crisi. Venerdì è stato firmato a Washington un accordo, considerato “storico”, tra la Repubblica democratica del Congo (RdC) e il Ruanda, per porre fine ai conflitti che insanguinano l’est del Congo da trent’anni – e con una particolare accelerazione degli eventi dall’inizio di quest’anno, quando l’avanzata dei ribelli congolesi dell’M23 nella regione del Kivu è culminata nella presa delle città di Goma e Bukavu, provocando una crisi umanitaria gravissima e sistematiche violazioni dei diritti umani.

Il Ruanda l’ha sempre smentito, ma il suo sostegno al gruppo M23 è un fatto accertato. In un rapporto dell’Onu del dicembre 2024 sono documentate le “incursioni sistematiche oltre il confine” da parte delle Forze di Difesa Ruandesi, mentre in un rapporto precedente, di giugno 2024, si fa riferimento a una presenza di circa 3-4 mila uomini appartenenti a truppe ruandesi dispiegate nella regione del Kivu. I legami tra il Ruanda e l’M23 poggiano su due elementi fondamentali: il primo è di carattere identitario e affonda le radici nel genocidio del 1994, quando gli hutu in Ruanda sterminarono la minoranza tutsi. Ai massacri fu posta fine con la presa del potere da parte dei tutsi, e con la conseguente fuga dal paese di numerose comunità di etnia hutu, dirette verso il Congo. Oggi nell’est della RdC sono attive le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda, di etnia hutu, che secondo il governo di Kigali sono eredi dei genocidari di trent’anni fa e rappresentano una minaccia esistenziale per i tutsi. L’M23, formato proprio da congolesi tutsi, dichiara formalmente di combattere per proteggere le proprie comunità. Alle questioni etniche si intrecciano gli interessi economici, dal momento che la regione del Kivu, nell’est del Congo, è quella più ricca di minerali preziosi: qui si trova la maggior parte delle miniere di coltan del paese, oltre a cobalto, oro, diamanti e rame. Il controllo politico e militare di questi territori da parte del Ruanda, attraverso l’M23 – che ora occupa l’area della miniera di Rubaya – equivale a un controllo sulla gestione delle risorse.



Si è giunti alla firma di venerdì sotto la pressione della Casa Bianca – tra gli attori principali c’è “l’uomo di Trump” per l’Africa Massad Boulos. La ministra degli esteri congolese Therese Kayikwamba Wagner e il suo corrispettivo ruandese Olivier Nduhungirehe hanno siglato un accordo ispirato alla dichiarazione di princìpi promulgata dai due paesi il 25 aprile, i cui termini fondamentali sono l’impegno per la cessazione delle ostilità, il rispetto dell’integrità territoriale, la facilitazione del rientro dei rifugiati e degli sfollati congolesi (che si stima siano più di 7 milioni). Il testo include anche un riferimento all’integrazione economica tra i due paesi, il cui piano dovrà essere elaborato nei prossimi 90 giorni. L’entusiasmo non è mancato – il presidente congolese Tshisekedi ha candidato Trump al Nobel per la pace – ma neanche le perplessità: Nduhungirehe ha sottolineato gli ampi margini di incertezza che permangono nonostante la svolta di Washington.

E infatti non è la prima volta che si giunge a un accordo con il quale si tenta di porre fine al ciclo di violenza che attraversa la regione. I tentativi si sono susseguiti soprattutto a partire dalla fine del 2021, quando il gruppo M23 si era riarmato ed erano ripresi i combattimenti tra i ribelli e l’esercito regolare congolese: da allora, però, tregue e cessate il fuoco non sono mai stati rispettati. E al tavolo (e nel testo dell’accordo) c’era un grande assente, che è proprio l’M23 – il gruppo è stato impegnato in colloqui separati, per ora inconclusi, con il governo congolese a Doha – mentre il Ruanda continua a negare la sua responsabilità nel sostegno ai ribelli. Corneille Nangaa, a capo della Congo River Alliance, braccio politico dell’M23, a marzo aveva dichiarato ad Associated Press che qualsiasi iniziativa venisse promossa senza di loro, sarebbe stata da intendersi contro di loro. I colloqui ospitati dal Qatar dovranno proseguire, e sono incoraggiati dallo stesso accordo firmato a Washington, ma per ora l’esclusione del gruppo rappresenta il principale motivo di fragilità della tregua.

E’ poi esplicito l’interesse di Trump a mettere le mani sulle ricchezze minerarie della Repubblica Democratica del Congo, in particolare della regione attraversata dai conflitti, in cui già da anni opera la Cina. Il piano di cooperazione economica menzionato dall’accordo, finalizzato a “espandere il commercio estero e gli investimenti derivanti dalle filiere di approvvigionamento delle materie prime critiche” fa infatti riferimento a una partnership con gli investitori statunitensi.



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