Scrivere e amarsi. Anna Katharina Fröhlich racconta gli anni con Calasso

I viaggi, le risate, la gelosia. E la fiducia del grande editore nei lettori italiani. “Cosa leggi?, è la prima domanda che mi ha fatto nei corridoi della fiera di Francoforte, e io ero imbevuta di letteratura giusta, ai suoi occhi”, racconta Fröhlich

Un falco, appoggiato al braccio della sua falconiera bionda, difende la terrazza sul Canal Grande dell’Hotel Continental da piccioni e gabbiani. Gli uccelli, quelli delle Upanishad, i testi sacri indiani, sono anche sulla copertina di La trama dell’invisibile (Mondadori), il libro che la scrittrice tedesca Anna Katharina Fröhlich sta portando in giro per l’Italia. Venezia è una tappa speciale, la città di Aldo Manuzio, “dove regna la luce del Tiepolo e soffia l’aria della Grecia”, scrive Fröhlich. Qui è sepolto l’uomo di cui con accecante affetto si parla nel libro: Roberto Calasso. Autore, editore, vero renaissance man del pensiero, figura già mitologica. La sua curiosa erudizione, mescolata alle capacità imprenditoriali, e al suo gusto percepito dai filistei a volte come snob, a volte come iniziatico, gli hanno permesso di consolidare e traghettare oltre il ‘900 la casa editrice più chic d’Italia. Con Adelphi ha tenuto insieme Carrère, Nietzsche, testi sulla Cabala, i presocratici di Giorgio Colli, Simenon, Alberto Arbasino e Michele Masneri. Anna Katharina Fröhlich, bionda, occhi cerulei, abiti bianchi di lino, accento teutonico, è attentissima alla scelta lessicale, come se ogni parola pesasse. Lettrice di Proust – “lo sto rileggendo per la settima volta”, ci dice – è preoccupata che di Roberto si vada a sfumare il ricordo. Questa innamorata autrice di romanzi vive in una casa sul lago di Garda che sembra una grotta delle meraviglie, tra colori pastello, sete indiane, volumi in innumerevoli lingue, poltrone di velluto rosso, rubinetti di rame e fiori freschi. La casa, come del resto lei, potrebbe essere uscita da uno dei romanzi mitteleuropei del catalogo calassiano, quei romanzi perennemente e piacevolmente fuori moda che hanno aiutato a certificare la qualità letteraria dell’editore. Quando si è fuori moda, si è sempre attuali. I due hanno avuto una lunga storia d’amore, risultata in due figli, Josephine e Tancredi, e in un costante dialogo sulla letteratura.



E’ stata lei, Fröhlich, a scegliere di lasciar riposare le ceneri di Calasso sull’isola di San Michele, qui in Laguna, dopo la sua scomparsa nel 2021. “Perché qui ci sono i suoi due migliori amici, soprattutto l’amico Enzo Turolla”, dice al Foglio Fröhlich. Turolla, che poi diventerà professore a Padova, fu quello che, quando lui aveva tredici anni, gli disse di leggere la Recherche, e fu il primo a portarlo in un bordello, qui a Venezia. “E poi Iosif Brodskij”, il poeta russo premio Nobel. “E’ stato Roberto a scegliere la sua lapide a San Michele”. “Nella vita si hanno pochi amici. Io ho insistito perché Roberto stesse con quelli più cari. Sono felice che sia qui e non a Milano, che lui non ha mai amato”. Milano è la città dove Calasso viveva con sua moglie, la scrittrice svizzera Fleur Jaeggy, che firmò anche dei testi per Battiato. “Milano era il suo ufficio, è la città dell’editoria, ci si è ritrovato quando nel 1962 è nata Adelphi. E’ stato quasi costretto a essere in quella città, lui che amava Firenze”, dov’era nato nel 1941, sotto il segno dei Gemelli. Era cresciuto in una casa dove passavano il padre di Boris Pasternak e Giorgio La Pira, che gli regalava i soldatini. “E Roma, dove ogni volta si emozionava, e dove stava sua madre Melisenda, prima donna ad aver fatto un dottorato su Plutarco, su una parte dei Moralia”. A sentire questi racconti si vivono atmosfere di una borghesia intellettuale italiana che sembra lontanissima, e che ha un’eco nel libro di Fröhlich. “Ma la sua città era la sua scrivania”, continua, perché lui trasformava ogni luogo in un posto dove scrivere, anche un taxi, o una spiaggia del Peloponneso. La mattina si metteva a lavorare fino alle due e, poi, quando era a Milano, andava in casa editrice. “Non aveva pretese. In Grecia, dove stavamo anche sei settimane, la sua stanza di lavoro era in cucina, e lui era disperato inizialmente perché c’era una cuoca accanto a lui che preparava roba con tanto aglio e olio… che puzza”, dice ridendo. “Si è fatto fare una tenda per chiudersi e creare così uno studio, e nasceva subito una piccola biblioteca, perché viaggiavamo con due borsoni di plastica neri pieni di libri coperti dalla pergamena. Poi sotto la sua finestra io leggevo La mia famiglia e altri animali a Tancredi, e ridevamo, perché è un libro divertentissimo, e Calasso si affacciava e diceva, voglio ridere con voi! Ma poi aveva una tremenda capacità di concentrarsi, una volta dentro il lavoro era incredibile”.


I viaggi, le città, gli alberghi, come si legge nel libro di Fröhlich, sono stati importantissimi per lui, e per loro, come coppia. “Tutti a dirmi dei grandi alberghi di cui parlo nel libro, ma in fondo lui era un grande editore, certo che andava nei grandi alberghi!”. Si sono conosciuti a Francoforte, alla fiera del libro, nell’ottobre del 1995. Lei aveva ventitré anni, e sua madre voleva che qualcuno la proteggesse mentre andava a Milano a studiare. Calasso era familiare con l’ecosistema da cui proveniva la giovane Katharina, con i suoi patrigni tedeschi, grandi lettori, e tutto un mondo di editori sofisticati e giornalisti della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Al loro primo incontro si è parlato di libri, ovviamente. Calasso voleva quasi controllare che lei fosse cresciuta con “i libri giusti” prima di passarci del tempo. “Cosa leggi? è la prima domanda che mi ha fatto nei corridoi della fiera di Francoforte, e io ero imbevuta di letteratura giusta, ai suoi occhi. E’ rimasto sollevato quando le ho detto che nella mia camera di bambina c’erano le opere di Clausewitz, Drieu La Rochelle, Jouhandeau e Jean Giono. C’era sempre la paura che si nominasse qualcuno che non gli piaceva. In pochi minuti la situazione per lui era chiara”.



La trama dell’invisibile è organizzato in viaggi, tra Napoli e Londra – dove Calasso ha scritto la sua tesi su Sir Thomas Browne e i geroglifici con un professore che non si può nominare, Mario Praz, detto solo “il professore” (perché secondo alcuni portava sfortuna) – e poi tra Parigi e Nizza. E la chiarezza del racconto di questo libro la dobbiamo al fatto che Fröhlich teneva dei diari. “Mettevo giù immagini, e le sue parole, e le sue osservazioni, sui libri o sui quadri che vedevamo insieme nei musei e nelle chiese, persone che abbiamo incontrato”, ci racconta bevendo una tazza di tè, bevanda che a lungo ha provato a far bere a Calasso, regalandogli teiere e pacchetti di green tea, per allontanarlo dal caffè nero che lo accompagnava nella scrittura, come Balzac. “Alla lunga il tè tiene più chiari e più svegli, tiene la concentrazione”, dice. E quando ha ritrovato questa pila di diari, Fröhlich ha deciso di usarli per scrivere questa storia, fermandosi prima della nascita della loro primogenita. “A un certo punto dovevo farlo per ricordare Roberto. Era una persona che aveva l’ossessione di perdere qualcosa. E anch’io avevo la paura di perdere i ricordi, che col tempo sbiadiscono e impallidiscono. Non servono le fotografie. Solo la scrittura ha questa forza. Si può ricordare scrivendo”. La seconda metà degli anni 90, quando esce Ka – “‘Chi è Ka?’ si domanda l’immenso uccello Garuda, sprofondato tra le fronde dell’albero Rauhina” – il terzo mattoncino, il primo “indiano”, della sua opera-mondo iniziata con La rovina di Kash, dove riversa col tempo la sua sapienza, sono anche gli anni in cui viene preparato K., altro volume dell’opera, questa volta su Kafka. Calasso aveva una forte attrazione per la lettera K. E per Katharina Fröhlich sono anni in cui lui è nel pieno delle sue capacità, “poi la felicità ha suscitato in lui le migliori qualità. Era nel fiore della sua brillantezza intellettuale. Li chiamo gli anni di grazia”. Sono gli anni in cui Adelphi pubblica L’anatomia dell’irrequietezza di Chatwin, amico di Calasso, e La caduta nel tempo di Cioran. Calasso aveva fiducia, ci dice Fröhlich, nei lettori, e pensava che in Italia si legge più e meglio di quanto si possa credere.



Anche prima che grafici ed editori si piegassero alla dittatura della copertina come opera fotografabile e postabile su Instagram, Adelphi non solo ha sempre avuto un’estetica riconoscibile e perfettamente fotografabile – quasi senza grafica, con un fondo monocromo – ma ha anche messo l’immagine come elemento centrale, immagini che spesso, a prima vista, sembrano non avere nulla a che fare con il contenuto. “Le immagini adelphiane sono sconvolgenti, si passa davanti a una vetrina e ci si ferma”, ci dice Fröhlich. E viene in mente subito L’ardore di Calasso, con quel rosso da cui sembra uscire la statua senza testa di una fanciulla meditante. “Quell’immagine l’ho scelta io. E’ stata una grande lotta. Avevamo visto insieme questa statua a Londra a una mostra, ora è nel museo di Lucknow, nello stato dell’Uttar Pradesh. Rarissimo vedere una meditante donna nella scultura indiana”. Calasso “non era un uomo fatto solo di letteratura. Aveva un occhio cinematografico, da piccolo amava Marlon Brando, era il suo idolo”. Nel libro Fröhlich racconta di quanto il cinema italiano sia stato cruciale per capire, da expat, il suo paese adottivo quando è arrivata dalla Germania, e dopo i viaggi in India, prima della scuola a Salò. Fellini, De Sica, e c’è anche un incontro con Mastroianni. Quando lei invita Calasso per la prima volta nella sua casa sul lago – dove vive “protetta come un giovane merlo nel suo nido” – si offre di uccidere un’anatra per lui, come offerta. “Che orrore”, risponde lui. E poi, le ansie, sull’amore, quelle agitazioni da commedia dell’arte o da feuilleton parigino, che purtroppo sono scomparse, ora che sappiamo dove sono tutti in qualsiasi momento. Leggiamo scene in cui la giovane Fröhlich attende Calasso in albergo, o che tarda a entrare in stanza non sapendo se lo troverà. “Aspettavo Roberto fumando una sigaretta”, scrive. “L’amore è fatto in gran parte di attesa. Come Josef K. E K., tutti gli amanti vivono uno stato di attesa, è questo il loro fondamento. E nulla più del fumare una sigaretta illustra questo stato”. L’imbarazzo nel caso si incontri la moglie su un treno, e il non sapere quando ci si rivedrà, quando si potrà passare di nuovo del tempo insieme bevendo champagne – Calasso detestava il prosecco – e guardando i Tintoretto alla Madonna dell’Orto. “A volte avevo le isterie da donna gelosa”. “Non sapevo forse che la sua stilografica Parker era un regalo di Ingeborg Bachmann?”, scrive. E poi “l’ansia di chi si aspetta di non trovare alla stazione, in aeroporto o in albergo la persona amata”, prima dei cellulari. “E fu lui a regalarmi il mio primo telefonino, io ero reticente”, ci racconta Fröhlich. “Mi ribellavo. Il telefonino lo trovavo poco elegante. ‘Non voglio essere a disposizione, è una terribile schiavitù, un’intrusione’, dicevo. Lui era convinto che bisognava usare la tecnologia in modo intelligente. Uguale con internet, che consultava professionalmente. Era pragmatico, trattava la questione senza pathos dicendo che la modernità per uno studioso, se la sfrutta così, è di un’immensa ricchezza, e può portare doni”. E prima dei Motorola e degli iPhone sembra tutto un gioco di cappa e di spada, con piccoli colpi di teatro, che l’autrice chiama “un gioco di leggerezza”. “C’era un brio tra noi che andava oltre, entrambi amavamo la leggerezza, che chiamo anche temperamento poetico. E’ una rara qualità da spiegare. Chi la possiede è un grande sostenitore delle immagini. C’è una frase che vale per me e valeva per Calasso, una frase di Conrad: ‘Inseguire il sogno e poi ancora il sogno, e così per sempre’. E’ una qualità che possedevano Calderon de La Barca, Shakespeare, Ninon de Lenclos, Max Ophuls. Tutte persone che hanno cercato di elevare l’animo, che hanno cercato di essere connessi con tutto ciò che viene da lassù, che come diceva Plotino, è più bello”.



Nel libro esce fuori anche un uomo scaramantico, capace di godere della saggezza dei testi antichi e dei piaceri della vita, a suo agio da Fazio o su un treno a leggere Jünger in tedesco, a un’asta antiquaria per un vecchio volume introvabile o tra gli stand di una fiera per accaparrarsi Carrère e portarlo via dall’Einaudi. Il matematico televisivo Odifreddi qualche tempo fa se la prendeva con il catalogo Adelphi, responsabile di costituire un’icona dell’“antiscientismo becero della massa”. Catalogo che Fröhlich spera resterà fedele al pensiero dell’uomo che ha amato. Ci sono titubanze su alcuni titoli recenti, da quando Calasso non c’è più. Toccherà alla figlia Josephine, già entrata a lavorare in casa editrice, e a Tancredi quando compirà i diciotto anni, contribuire a continuare l’opera editoriale di Bobi Bazlen – lo sciamano in abiti borghesi che fondò Adelphi – e del padre. Ma più che dei dilemmi dentro a San Giovanni sul Muro, di cui la stampa si è già occupata trattandola come uno spin-off di Succession, a Fröhlich piace parlare di quante chiavi le ha fatto aprire l’opera di Calasso, come lettrice oltre che come innamorata, “anche la chiave per quella porta che conduce verso l’infinito”. E cita un’immagine del Timeo, che appare anche ne Il cacciatore celeste: “La testa è la ‘radice’ dell’uomo, e va considerata come una pianta ‘celeste’ e non ‘terrestre’”. Nel frattempo, il falco se n’è andato, così come i gabbiani spaventati dal suo becco, e restano i due uccelli sulla copertina del libro, e il simbolo Ka in sanscrito sulla tomba in pietra d’Istria. Come scriveva Calasso nel suo ultimo libro, “ognuno di noi è i due uccelli delle Upanishad, posati sullo stesso ramo dell’albero cosmico. Uno mangia, l’altro lo osserva”.

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