Schlein, eskimo e sangria. La segretaria del Pd vuole ellyzzare il Pse

La leader dem vuole portare il Pd nelle piazze anti von der Leyen e vola a Bruxelles per convincere i socialisti Ue che è tempo di scaricare la Commissione: “Non siamo disposti ad accettare la politica dei due forni da parte del Ppe, così non si può andare avanti”

Bruxelles. Elly, eskimo e sangria per salvare il Pse. Schlein vola a Bruxelles per convincere i socialisti Ue che è tempo di scaricare la Commissione Ue e per portare il suo Pd fuori dalle aule parlamentari e dentro le piazze anti von der Leyen. I socialisti intanto fanno quadrato attorno all’unica stella che hanno, Pedro Sánchez, che per parafrasare Mark Rutte al vertice Nato, diventa il “daddy” della sinistra europea. Il Pse scalda i motori del suo congresso, previsto a ottobre ad Amsterdam. Stefan Löfven fa sapere di cercare la riconferma alla presidenza, ma accanto allo svedese, ritratto, un po’ sbiadito, della vecchia socialdemocrazia scandinava, qualcuno vorrebbe qualcosa di più giovane e più nuovo. Il primo scossone a sinistra arriva al vertice mattutino del Pse: i leader socialisti sbloccano un testo su Gaza insabbiato da mesi. Le resistenze dei tedeschi tengono solo sulla parola “genocidio”, che rimane fuori dal testo, ma per il resto la posizione è quella spagnola, con la richiesta di sospensione del trattato Ue-Israele e dei rapporti commerciali. Uscendo dalla riunione, la segreteria dem tuona contro il riarmo e minaccia che le spese militari saranno “la morte del welfare italiano”.



La crisi politica a Bruxelles, nella testa di molti socialisti, in realtà doveva essere solo un bluff per far paura ai popolari, ma la segretaria Pd si è convinta che si faccia sul serio, e forse è per questo che è l’unica che ai popolari fa davvero paura. “Non siamo disposti ad accettare una politica dei due forni da parte del Ppe, così non si può andare avanti”, attacca leader Dem. I maggiorenti socialisti più moderati, come i partiti tedeschi, danesi e rumeni, per ora lasciano fare: “Questo è il momento di alzare la voce, lasciamolo fare a lei che lo sa fare”, commenta un dirigente del gruppo dei socialisti e democratici. Ma la linea Schlein, in un Pse anestetizzato da mesi di infelice convivenza coi popolari, trova facile terreno. Fuori dal Pse, l’attivismo di Schlein preoccupa i meloniani: uno strappo socialista metterebbe infatti fine all’ambiguità usata finora dalla delegazione guidata da Carlo Fidanza all’Eurocamera, che non ha mai ammesso di essere dentro alla maggioranza von der Leyen, ma neanche mai detto di non farne parte. Se il Pd dovesse abbandonare l’eurogovernance, infatti, Fratelli d’Italia verrebbe di fatto risucchiata nel campo dei responsabili, completando il lento addio di Meloni al campo delle forze antisistema. Passo ormai in realtà già quasi compiuto, ma che i meloniani ancora non hanno capito come spiegare ai loro elettori.



Sulle barricate la minoranza riformista dem. Da partito più moderato della famiglia, che impose addirittura la dicitura “democratici” accanto a “socialisti” nel nome del gruppo, il Pd sta passando ora ad essere il collettivo trozkista del Pse. Alla riunione di delegazione davanti all’affondo delle segretaria contro la commissione, Gori e Picierno ricordano le responsabilità istituzionali dei Dem e il rischio di regalare l’Europa alla destra. Gli schleiniani invece si dicono pronti a seguire la segretaria nel chiedere la testa di Ursula. Un contrattempo però irrompe nell’eccitazione generale. Un gruppo di eurodeputati fanatici antivax di estrema destra ha trovato 72 firme per chiedere un voto di fiducia su von der Leyen. Il Parlamento ha registrato la richiesta ed è obbligato a portarla in aula, probabilmente a luglio. Tra due settimane, insomma, si avrà la prima occasione di passare dalle minacce ai fatti. Ma dal gruppo dei socialisti già frenano: “Noi non votiamo mai con le destre”. La voglia di opposizione, insomma, non è ancora abbastanza.

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