Attese (serata elettrica?), modelli interpretativi, cast e fantacast. Il bisogno di dimenticare la Divina. Duetto tra Melomani Marci
Un fantasma aleggia su Milano. Venerdì Norma di Vincenzo Bellini torna a casa, alla Scala, dove nacque (male) il 26 dicembre 1831 e, nel 1952 e nel ‘55, rinacque grazie a Maria Callas. Da allora, sulla parte della druidessa incombe il suo spettro. Lo sfidarono nel ‘65 Leyla Gencer e, nel ‘72, ‘75 e ‘77, Montserrat Caballé. Da allora, Norma alla Scala è stata tabù. Adesso ricompare in un nuovo allestimento di ambientazione risorgimentale di Olivier Py, con la direzione di Fabio Luisi e Vasilisa Berzhanskaya (Adalgisa), Freddie De Tommaso (Pollione) e Michele Pertusi (Oroveso: l’opera detiene il record mondiale di nomi assurdi). E lei? Per non farci mancare nulla, c’è anche la suspence. La Norma annunciata, il soprano lettone Marina Rebeka, titolare alla Scala dei grandi ruoli, lunedì non si è presentata in conferenza-stampa perché stanca o indisposta, non si è ben capito. Quindi tutti a sfogliare la margheritina: canta? Non canta? Si propende comunque per il sì. Inutile dire che tutti noialtri pazzi per l’opera siamo agitatissimi, come dimostra il duetto che segue.
Federico Freni: Allora, caro il mio MM (Melomane Marcio), siamo pronti ad affrontare il fantasma di Norma? Sono passati 48 anni dall’ultima volta, io non ero neppure nato e tu andavi sì e no alle elementari… Ma perché fare Norma alla Scala è così difficile?
Alberto Mattioli: Perché è uno dei titoli mitici dell’opera italiana. E perché alla Scala aleggia il fantasma della Norma più Norma che ci sia mai stata, almeno a memoria d’uomo e di disco: quello di Maria Callas, un caso quasi unico di identificazione fra il personaggio e il suo interprete. L’ultima a sfidare e vincere il tabù fu la Montse. Fu acclamata, e vorrei pure vedere. Ma si racconta di una prefica callasiana delle più tenaci che apostrofò in lacrime gli altri loggionisti: l’avete tradita, povera Maria… E loro: ma dai, come si fa a non applaudire questa Caballé? Lei: sì, ma dovevate farlo più piano. Questo per dire si prospetta una serata elettrica…
FF: E’ dal 7 dicembre 1955 che il fantasma aleggia. Io però credo che a questa prima dovremo andare facendo un bel bagno di laicità operistica. Beninteso, anche io mi sono formato su quei dischi, anche per me la Callas è Norma: ma oggi dobbiamo poter guardare avanti, perché il confronto non giova. Non si tratta di rimuovere, ma di saper guardare oltre, di non replicare il modello a ogni costo. Ecco, se mi passi l’iperbole, dovremmo poter dimenticare la Callas.
AM: Sono d’accordo, posto che la Callas è indimenticabile e come scoglio immoto resta. Il punto è che nei decenni non sono stati proposti molti modelli interpretativi differenti. Per il momento, però, va sottolineato che oggi, a differenza di quel che accadeva all’epoca della Callas, disponiamo di un’edizione critica dell’opera, fra l’altro molto ben fatta. E possiamo anche pensare a un cast che tenga conto di come a’veva pensato Bellini, con un mezzosoprano acuto per Norma, un soprano lirico per Adalgisa e un baritenore per Pollione. Oggi la distribuzione tradizionale, Norma soprano e Adalgisa mezzo, è intollerabile. E non entro sulla vocalità autentica di Pollione, benché poi oggi, volendo, qualche cantante in grado di baritenorizzare ci sarebbe: Michael Spyres o Enea Scala, per esempio, e chissà se alla Scala sanno della loro esistenza…
FF: Detto tra noi (e neppure troppo a voce alta), secondo me Spyres potrebbe essere anche un ottimo Otello (di Verdi, ça va sans dire). Che poi proprio su Norma gli esperimenti non sono mancati, da quello con due soprani (e che soprani: la Sutherland e, appunto, la Caballé) a quello del Met con due mezzi (erano la Verrett e la Obraztsova). Però, nel complesso, hai ragione, il modello Callas non ha trovato, nel tempo, alternative reali. Anche per paura del confronto, probabilmente. C’è da dire che quella che tutti abbiamo ascoltato è forse più la Norma della Callas che quella di Bellini. Ma il teatro d’opera, soprattutto in Italia, ha vissuto di modelli e di fantasmi per tanti anni, e scardinare questa impostazione non è proprio una cosa semplice. A torto o a ragione, viviamo anche di questo. Ricordi La traviata di Karajan? O l’Anna Bolena della Caballé? Insomma, a questo punto la domanda è: ci aspettiamo, venerdì, un nuovo modello interpretativo?
AM: Credo di no. Ma già riportare Norma alla Scala è un’operazione significativa, anche perché c’è una regia di Py che tutto sarà tranne che rinunciataria. Norma resta in ogni caso problematica per quel che riguarda la sua vera estetica, in bilico fra classico e romantico, e per la nostra percezione di Bellini, che non può più essere rimpicciolita a quella di un mero melodista la cui arte è costituita soltanto da quelle frasi “lunghe, lunghe, lunghe” di cui parlava Verdi. Un buon modo di prepararsi a Norma, questa e quelle a venire, è leggere il recente saggio su Bellini di Fabrizio Della Seta pubblicato dal Saggiatore, dove si spiega in maniera convincente che il teatro in Bellini è molto particolare ma c’è, e insomma si tratta di un grande e originale drammaturgo musicale. Questa, al di là dei problemi di autenticità vocale e dei fantasmi, mi sembra oggi la questione quando si mette in scena Norma.
FF: Eh, sì: diciamo che il povero Bellini ha sofferto, rispetto ai suoi contemporanei, di un giudizio critico eccessivamente severo, o forse superficiale. Che poi, senza voler ripercorrere polemiche ammuffite, io non credo abbia troppo senso questa ricerca a ogni costo dell’edizione critica e delle dieci battute disperse. Il rischio è quello di chiudere il teatro d’opera in una riserva indiana, impedendo di fatto un confronto con il presente. Ma entreremmo nel campo di cosa debba essere oggi il teatro d’opera, e non è il tema del giorno… Per tornare a noi, al di là del mito, dunque, ed escludendo la Callas per ovvi motivi, facciamo il consueto fantacast?
AM: Ah, ecco i fantacast. Naturalmente, vorrei sentire quello originale, Pasta-Giulia Grisi-Donzelli-Negrini, rispettivamente Norma, Adalgisa, Pollione e Oroveso. Nell’epoca del disco, direi comunque e sempre per Norma la Callas, che disgraziatamente dal vivo non ho mai ascoltato, magari affiancata dalla Caballé, che Adalgisa l’ha cantata o dalla Freni, che non l’ha cantata mai. Per Pollione, un tenore scuro e dal fraseggio larghissimo, quindi Caruso o Jadlowker nell’evo a 78 giri, Bergonzi di cui c’è un live dal Met, o un Corelli stilisticamente aggiornato. Oggi, appunto, Spyres. Oroveso, un bassone nobile di quelli di una volta, De Angelis o Pinza o meglio ancora Pasero, che l’opera l’ha incisa. Sul podio, oggi mi interesserebbe ascoltare un direttore storicamente informato, tipo Capuano…
FF: Non ci siamo, si era detto di escludere la Callas! Io comunque farei cantare Norma a Shirley Verrett (mezzosoprano, così, con buona pace, siamo anche storicamente informati) e Adalgisa alla Caballé (un filino più agile della Mirella, che pure non mi dispiacerebbe). Fra le attuali, a mani basse Asmik Grigorian, unica secondo me in grado di dare una prospettiva a questo ruolo. Per Pollione, ti seguo: Bergonzi. Ma pure un Del Monaco disciplinato avrebbe un suo perché. Oggi, escluso per sopraggiunti limiti d’età Kaufmann, credo, dopo averlo sentito a Vienna, che De Tomaso possa fare qualcosa di buono, mentre Spyres sarebbe un magnifico azzardo. Per Oroveso, un bassone profondo modello Pasero, ma giovane: vogliamo dire Giorgi Manoshvili? Il direttore mi crea qualche problema, ma se Norma è la Verrett, ha da essere Schippers.
AM: Beh, io la Grigorian come Norma l’ho sentita al debutto, questo inverno all’An der Wien e nelle migliori condizioni: direzione magnifica di Francesco Lanzillotta e regia assai riuscita dell’ex marito Vasily Barkhatov. Ho letto dei peana cui mi associo soltanto in parte. Il carisma vocale e scenico c’era tutto, e forse oggi la divina Asmik è l’unica ad averlo. Ma resta il problema di una tecnica per nulla belcantistica, che per Norma, spiace ricordarlo, proprio ci vuole. Le note ribattute di “Casta diva” erano appena accennate, le agilità dei duetti con Adalgisa spesso pasticciate e in una frase come “Dal druidico delubro / la mia voce tuonerà” si sentivano, più o meno, anzi più meno che più, metà delle note scritte da Bellini. Curioso che lo dica proprio io, che ho sempre sbeffeggiato la famigerata TUC (Tecnica Unica di Canto) come un’astorica invenzione cellettiana, ma per cantare Norma e in generale tutto Bellini il belcanto bisogna padroneggiarlo. Perché Bellini o Donizetti non sono affatto operisti “belcantistici”, nel senso che non appartengono a quell’estetica che finisce con Rossini, ma ne mutuano diversi elementi fra i quali il vocalismo.
FF: Come la fai tecnica! Io sono per la bassa cucina, e la voce la considero, con tutte le accortezze e le differenze del caso, come uno strumento nelle mani del compositore per arrivare a noi profani. Quindi, un po’ semplicisticamente, cerco il messaggio… declinato e cantato con tutte le note giuste, ovviamente! Con la voce deve “arrivare” qualcosa. E le voci capaci di comunicare emozioni sono sempre meno, purtroppo. Idem dicasi per le regie. Ecco perché lo spettacolo modernissimo di Barkhatov, insieme alla voce di Asmik, mi ha appassionato tanto. C’era un messaggio, un’idea. Insomma, di Norme belle in disco ne troviamo quante ne vogliamo. A teatro mi aspetto qualcosa più di una buona esecuzione.
AM: E allora dalla Scala cosa ti aspetti? Potrebbe essere una serata di intemperanze loggionistiche?
FF: Qui di loggionista impenitente ne conosco proprio uno… scherzi a parte, non credo. Il pubblico è mediamente anestetizzato e Norma manca da troppi anni per tentare un inutile confronto con il passato. Vedovi all’orizzonte, non ne vedo. Poi siamo seri: cercare la Callas nel 2025 non ha senso. Insomma, non mi aspetto proteste, ma una Norma di oggi, con voci di oggi. Pregi e difetti del nostro tempo. Che, poi, se ci pensi, è il bello del teatro d’opera: non cercare per forza il passato, ma essere capace di reinventare la tradizione. Per dirla con Mahler: non adorare le ceneri, ma custodire il fuoco.