Dalla politica estera alla giustizia, i segnali del leader di Azione. “Porta avanti il suo programma con determinazione, lavorando con chi sostiene le sue tesi. Al di là del colore del governo. Mi pare che antropologicamente sia più vicino alla premier che a Schlein”, dice il direttore del Secolo d’Italia
Dove va Carlo Calenda? Da nessuna parte, “al centro”, continua a rispondere lui. Eppure dalla politica estera, soprattutto, fino alla giustizia le convergenze con il governo Meloni cominciano a essere più di una. “Tra quelli all’opposizione, Calenda appare come l’unico politico serio, coerente e impegnato nel merito delle questioni. Al di là del colore del governo”, dice al Foglio Italo Bocchino – direttore editoriale del Secolo d’Italia, polemista meloniano e grande conoscitore della destra italiana, passata e presente. “Si è presentato con un programma e lo porta avanti con determinazione. Su alcuni temi sta con chi sostiene le sue stesse tesi”. Se tutto questo possa rappresentare la base di una collaborazione più stretta tra Calenda e la premier è ancora presto per dirlo. E Bocchino non si sbilancia: “Ma certo – aggiunge – se la candidata premier del centrosinistra sarà Elly Schlein… Mi pare che Calenda, antropologicamente, sia più vicino a Meloni”.
L’ultimo segnale è arrivato martedì in Senato. “Condivido in larga parte quanto espresso dal governo”, ha detto Calenda intervenendo in Aula dopo le comunicazioni di Meloni. Il leader di Azione, non è una novità, su vari temi è molto più vicino alle posizioni di Palazzo Chigi che al campo largo. In particolare sulla politica estera, sull’Ucraina. “Più che a Meloni, Calenda è vicino alla ragionevolezza e all’interesse nazionale. Mentre altri all’opposizione vanno solo alla ricerca di consensi”, è il ragionamento di Bocchino, che sottolinea il pragmatismo dell’ex ministro dello Sviluppo economico. Tanto più, aggiunge il direttore del Secolo, se rapportato agli altri leader di minoranza. “Schlein è una gruppettara che occhieggia alla sinistra-sinistra. Giuseppe Conte un populista in grado di sostenere tutto e il suo contrario, come sulle armi”. E Matteo Renzi? “Ha cominciato la legislatura in modo ragionevole. Poi, quando ha capito che non aveva possibilità di passare in maggioranza, si è messo a fare il grillo urlante, in maniera sguaiata contro Meloni. Ma non esiste al mondo un ex premier che fa una battaglia personale contro la presidente in carica, venendo cioè meno al suo ruolo istituzionale”.
In questo quadro, in questa fase, Calenda è così diventato l’interlocutore privilegiato per la maggioranza. “Con lui si può dialogare”, aveva detto Giovanni Donzelli a marzo, all’indomani del congresso di Azione, che aveva avuto tra gli ospiti, molto apprezzati, anche Meloni e Guido Crosetto. In quell’occasione Calenda, ancora una volta, mostrò un altro registro rispetto a quello delle opposizioni. “Il suo linguaggio – dice Bocchino – si è differenziato anche perché Schlein e Conte hanno spostato il baricentro su posizioni di sinistra radicale, mentre le coalizioni vincono quando assumono anche atteggiamenti moderati, allargando al centro”. E’ quello che sta provando a fare Meloni da quando è al governo. Rinnegando, o almeno smorzando, alcune posizioni del passato. “FdI è un laboratorio d’allargamento”, dice Bocchino. “Basti pensare a ministri come Carlo Nordio, Orazio Schillaci o Marina Calderone: provengono da altre culture, non appartengono alla generazione Atreju, ma incrociano i valori e il programma del governo Meloni”. A questo filone si inscrive pure la recente nomina a sottosegretario per il Sud di Luigi Sbarra, ex segretario della Cisl. “Per arrivare al 30 per cento Meloni ha capito che doveva essere la casa di varie anime politiche. Nel suo governo convivono la cultura nazionale e identitaria, quella autonomista rappresentata in parte dalla Lega e quella popolare con Forza Italia. C’è spazio anche per i liberali. Sono tutte esperienze alternative alla sinistra”. E’ una delle ragioni, secondo il direttore del Secolo d’Italia, per cui a quasi tre anni dalla vittoria elettorale Meloni continua a godere di un alto gradimento. “Un caso che sarà studiato nei libri di Scienze politiche. A oltre metà del suo mandato ha più consensi di quando ha cominciato. Questo è dovuto anche a una strategia che tiene insieme elettorati diversi”.
Se questa è la direzione forse non è solo fantapolitica pensare che in futuro Calenda e Meloni possano ritrovarsi su posizioni comuni. “Da un punto di vista antropologico, e lo dico da commentatore, Calenda mi sembra più vicino a Meloni che a Schlein”, ripete ancora Bocchino guardando alle prossime politiche. Prima però ci sono le regionali e in alcuni territori Azione potrebbe già accasarsi con il centrodestra. Magari in Campania o nelle Marche, dove Bocchino dà una mano, da consigliere, al governatore meloniano Francesco Acquaroli che cerca il bis. “Parlo da osservatore”, si smarca il polemista. “Le regionali sono un mondo a parte. Calenda deciderà sui singoli casi, in base ai programmi e ovviamente ai candidati. E’ chiaro che se saranno troppo spostati a sinistra, contro termovalorizzatori e opere pubbliche, Calenda avrà il suo disagio. Mi auguro – conclude Bocchino – che tutte le aree alternative alla sinistra stiano assieme”.