Una buona riforma: meglio una selezione consapevole che un quiz aleatorio. La ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha finalmente preso di petto l’antico problema della modalità di selezione dei futuri medici
La riforma del processo di ammissione non sarà perfetta, ma è una buona riforma. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha preso di petto un problema antico: la modalità di selezione dei futuri medici. Perché una cosa non cambia né può cambiare: a un certo punto è necessario porre un filtro, per garantire che il numero di medici sia compatibile con la domanda delle loro professionalità che, in gran parte, dipende dall’evoluzione del Sistema sanitario. Fino a ieri, tutto si giocava in un singolo momento: un test sui cui contenuti si è a lungo polemizzato, viste le sue caratteristiche di imprevedibilità e casualità. Non solo: l’aspetto per certi versi più rilevante è che quel meccanismo favoriva quegli studenti che avevano la fortuna di frequentare scuole di medio-alta qualità e si iscrivevano (tipicamente già durante l’ultimo anno di scuola) a un corsi per il superamento del test d’ammissione.
Non a caso, il meccanismo finiva per avvantaggiare i figli di altri medici. Il nuovo sistema prevede invece la frequenza di un primo semestre durante il quale gli aspiranti medici potranno affiancarsi alle conoscenze di base e, anzitutto, capire se davvero quella è la strada che vorranno seguire. Se sarà così, verranno selezionati sulla base del merito – cioè dei risultati degli esami. Può apparire una piccola cosa, e sarà importante che l’attuazione sia seria e rigorosa, ma può fare una grande differenza. Un recente studio pubblicato sulla rivista Labour Economics mostra che gli aspiranti medici hanno spesso le idee vaghe sul futuro che li aspetta, e questo influisce sulla loro motivazione nella prova di ingresso. Come hanno notato Alessandro Fedele e Mirco Tonin (autori di quello studio) su lavoce.info, frequentare un semestre può aiutarli a compiere una scelta più consapevole: scoraggiando chi non ha la vocazione per la professione medica, ma anche incentivando chi ha bisogno di comprendere meglio difficoltà e prospettive. La selezione all’ingresso è un passaggio delicato: meglio farla sul campo che delegarla a un test aleatorio.