Il cinema non ha ancora raccontato il clima odierno negli Stati Uniti dopo i primi sei mesi dell’Amministrazione Trump. Nel momento in cui questo dovesse avvenire la promessa e l’eccezionalismo americano oggi si rivelerebbero nient’altro che un’illusione
“Siamo sprofondati nel futuro distopico dei filmacci di serie B”, mi ha detto con tono sconsolato un amico che ha sempre creduto nella promessa americana. Non ho saputo rispondergli, è difficile reagire diversamente ai primi sei mesi dell’Amministrazione Trump: le grottesche promesse inattese, le pretese imperiali su Panama e la Groenlandia, la parata militare nel giorno del compleanno, la guerra alle università e all’immigrazione, la disastrosa politica dei dazi e una escalation che ha visto l’arresto del sindaco di Newark, di una deputata del New Jersey, un leader sindacale di Los Angeles, una giudice di Milwaukee e l’ammanettamento di un senatore per aver tentato di fare una domanda alla responsabile della Homeland Security. Per non parlare di un clima sempre più esasperato, culminato con l’uccisione della deputata democratica Melissa Hortman e del marito per mano di un fanatico con la missione di eliminare settanta personalità con idee diverse dalle sue.
Con poche eccezioni, l’opposizione appare spaventata e mi chiedo che fine abbiano fatto la land of the free, la home of the brave di cui parla l’inno nazionale: oggi prevalgono la violenza, l’oppressione, la vigliaccheria e la volgarità. Ho risposto al mio amico di avere un debole per i paranoid thrillers come Manchurian Candidate, The Parallax View e I tre giorni del Condor, perché nonostante si scopra l’esistenza di istituzioni deviate che manipolano il funzionamento democratico, non viene messo in dubbio lo stato nella sua interezza, che continua a essere un solido riferimento di certezze morali. A dispetto di una realtà avvilente, continuo a credere nel paese che mi ha accolto trenta anni fa, ma non mi sarei mai aspettato di provare la sensazione di trovarmi all’interno di un film distopico, nel quale ogni valore si trasforma nel suo opposto ed è proprio il governo a negare princìpi e ideali fondanti. L’efficientismo spietato mi ha ricordato Minority Report e Blade Runner, tratti da quell’autore geniale che è stato Philip K. Dick, come anche Gattaca, che risente delle stesse atmosfere: in un futuro nel quale viene determinata alla nascita la prestanza fisica di ogni individuo e la durata della vita, il governo si arroga il diritto di scartare chi non è “idoneo”, e di emettere un verdetto di condanna prima che venga commesso un eventuale crimine. Parte sempre da un interrogativo etico, Dick, e profetizza due abomini: l’eugenetica e l’abolizione del libero arbitrio.
Con l’eccezione dell’inquietante, ma artisticamente modesto Civil War, il cinema non ha ancora raccontato il clima odierno, mentre sono numerosi i romanzi caratterizzati da intuizioni allarmanti: se Tutti gli uomini del re, di Robert Penn Warren, rievocava realisticamente Huey Long, il primo populista americano, Il racconto dell’ancella, Il complotto contro l’America e La svastica sul sole appartengono invece al più cupo genere distopico. Nel primo, Margaret Atwood immagina gli Stati Uniti governati da una teocrazia totalitaria nella quale le donne sono completamente sottomesse, mentre negli altri due, Philip Roth e Philip K. Dick immortalano un mondo in cui Hitler ha vinto la Seconda Guerra Mondiale: i libri partono dalla consapevolezza che la gioventù del paese può scatenarne i più brutali istinti primordiali, e che la lotta tra il bene e il male può generare anche nel mondo nuovo la distruzione e la rovina di cui è stata teatro la vecchia Europa. L’eccezionalismo americano si rivela nient’altro che un’illusione, e il complotto di cui parla Philip Roth, orgogliosamente e imprescindibilmente americano, priva di ogni fascino un paese basato dalle origini sulla libertà e l’accoglienza.
Già nel 1905 Jack London ha ipotizzato in The Iron Heel una dittatura nata in reazione alla diffusione del socialismo, e nel 1932 l’inglese Aldous Huxley ha immaginato in A Brave New World un mondo che a dispetto del titolo rivela poco di nuovo sul piano dei meccanismi psicologici e di un futuro liberticida. Tre anni dopo, Sinclair Lewis ha scelto per il suo romanzo distopico il titolo It can’t happen here, ma era il primo a temere di aver torto, ed è raggelante leggere che Berzelius “Buzz” Windrip sconfigga il rivale democratico proclamandosi difensore della “gente dimenticata” e dei “valori americani” mentre gli elettori considerino necessarie le misure dittatoriali per rendere nuovamente grande il paese. Il paradosso nel quale ci troviamo costretti a vivere dimostra che la promessa americana oggi è tradita proprio da coloro che dichiarano di esaltarla, e l’unica risposta che sono stato in grado di dare al mio amico è che spero di non scoprire mai che quanto sta accadendo non è una riproposizione dell’itinerario titanico di Prometeo, martoriato per aver portato il fuoco agli esseri umani, o di Icaro, sfracellato al suolo per aver volato troppo vicino al sole, ma la sorte ingloriosa e mesta di quel personaggio di cui Fabrizio De André cantava: “Abortisce l’America per poi guardarla con dolcezza”.