Pagliuca tifoso speciale: “Una Virtus da sballo. Il segreto sono due proprietari di spessore”
L’ultima volta è sempre la più bella. “Abbiamo fatto una mangiata da amici, catapultati davanti al televisore fino alla sirena: una gioia immensa”, sorride Gianluca Pagliuca nel day after di uno scudetto da incorniciare. Il diciassettesimo nella ricca storia della Virtus Bologna. “Ho l’abbonamento, in casa le ho viste tutte. Pure gara-1 e gara-2 di questa finale. E c’ero anche al Forum di Milano, quando abbiamo portato la serie sul 2-1: prestazione enorme, quella che ci ha dato la consapevolezza per andare in fondo”. Niente trasferta a Brescia, invece, ma mica per scaramanzia. “Non che fossi timoroso, eppure avevo la sensazione che sarebbe stato un duello ancora lungo: la Leonessa è una squadra tosta, nelle prime due partite ci ha dato parecchio filo da torcere. La terza però si è rivelata un’apoteosi. Ed è stato bello così, tra i miei cari, nella mia Bologna. Fino alla festa in piazza”.
Una vita nel calcio, il cuore sempre votato al basket. Partiamo dalla solita domanda difficile, quasi dover scegliere tra la mamma e il papà: meglio il tricolore della Virtus o la Coppa Italia del Bologna? “Sono felicità diverse”, racconta al Foglio sportivo l’ex numero uno della Nazionale, oggi coordinatore dell’area portieri nel club rossoblù. “E le ho vissute in modo diverso, ma sempre da vicino. Diciamo che è stata una stagione intensa e meravigliosa per la città intera: il riscatto calcistico atteso da mezzo secolo e quello della pallacanestro dopo tre finali perse di fila. Cosa volere di più?” In effetti è un 2025 da record: l’unica altra annata in cui i due sport bolognesi per eccellenza alzarono due trofei in sincronia fu proprio quel lontano 1974. Ma all’epoca furono due Coppe Italia. Così in alto soltanto Ivanovic e Italiano.
“Il filo conduttore”, dice Pagliuca, “è che alle spalle ci sono società serie e importanti. Guidate da due proprietari di spessore: Saputo e Zanetti sono una garanzia. I successi nascono da qui, dalle competenze dirigenziali, da progetti ambiziosi e attenti a coinvolgere una comunità che sta rispondendo alla grande. Si percepisce nell’aria”, tra il Dall’Ara e la Segafredo Arena. “I rossoblù ormai hanno svoltato. Mentre le vu nere vivono una presidenza di altissimo livello: due scudetti, Eurocup, Champions League, tre Supercoppe”. Il portierone di Usa ’94 declama l’elenco tutto d’un fiato, con precisione archivistica. O da fedelissimi del parquet. “Ormai i tifosi virtussini mi vedono come uno di loro: “Ciao Gatto!”, salutano quando arrivo in tribuna”, tuttora affezionati a un epiteto – riflessi felini tra i due pali – che è andato ben oltre la carriera del classe ’66.
Ricordi sotto i tabelloni? “Ne ho tantissimi. Anche quando giocavo, cercavo sempre di far combaciare i miei impegni con le partite della Virtus. Mica soltanto ai tempi del Bologna, eh. Pure alla Samp, all’Inter. Soprattutto in occasione delle coppe europee: appena avevo una sera libera partivo e correvo a vedere le magie di Danilovic”. Una su tutte: Eurolega 1998, la prima di sempre vinta dalle vu nere. “E io c’ero, a soffrire sugli spalti mentre battevamo i greci dell’AEK Atene”. Calendario di fuoco: tre giorni dopo sarebbe andato in scena il famoso Juve-Inter 1-0, dal rigore non dato a Ronaldo a quello che Gianluca parò a Del Piero. Ma questa è un’altra storia. Il bianconero di un altro sport. Pagliuca riserva un altro sorriso “all’incredibile Bologna di oggi”, si rammarica per un’Italia a pezzi con spauracchio mondiale.
Sprazzi di campioni ammirati. “Da ragazzo sognavo coi canestri di Renato Villalta ed Elvis Rolle”, con la Virtus targata Sinudyne, poi Granarolo. Qualche anno dopo Kinder. “Quindi siamo passati alla grande era di Sasha e Savic. Indimenticabile pure Ginobili. Infine arriviamo a Teodosic, Shengelia: queste emozioni meravigliose hanno scandito le tappe della mia vita. Ed è vero quel che si dice”. Cioè? “L’ultimo scudetto è sempre il più bello, il più fresco. Anche perché eravamo arrivati primi in regular season, ma aleggiavano diverse ombre. A partire da una griglia complicatissima, subito contro Venezia ai quarti”. L’attimo più palpitante della postseason virtussina è stato pregare che la tripla di Kabengele sulla sirena andasse fuori – altrimenti fuori sarebbe finita Bologna. “Il grande spavento. A cui è seguita la sconfitta interna di -20 incassata dall’Olimpia in gara-2: a quel punto ci sentivamo tutti un po’ rassegnati. Invece la personalità di questa squadra è sempre emersa sul più bello. Fino al crescendo contro Brescia”. L’intramontabile regia di Hackett, la grinta di Pajola, la classe di Cordinier. Ma su questo tricolore, spicca un nome su tutti. “Toko. Un mvp totale, ora che andrà al Barcellona ci mancherà tantissimo: penso che per lui non ci sia cosa più bella che lasciare Bologna con questo trionfo corale e personale. E quando tornerà all’Arena da avversario, sono sicuro che scrosceranno applausi a scena aperta: non ci dimenticheremo mai di questi suoi stratosferici playoff”.
Con una dedica speciale, commossa. “La notizia di Polonara è stata tremenda per tutti. Sappiamo la leucemia che cosa comporta, il dramma dell’uomo e del giocatore: dovrà farsi forza, ritrovare energie. Ma è giovane, ha tutto il tempo per recuperare. E intanto godersi finalmente il primo scudetto della sua carriera”, consegnatogli da Belinelli e compagni all’indomani. “Quelle immagini della squadra in ospedale sono magnifiche”. La vittoria più grande della Virtus. Forza Achille.