La carta politica del medio oriente è cambiata in meno d’una settimana

Mentre un vecchio presidente americano, laido quanto il vecchio ayatollah, ordina agli abitanti di Teheran di evacuare la città, ragionare sugli avvenimenti è ormai un’impresa derisoria. Abbiamo a che fare con ukase scadenti di ora in ora

Che i popoli dell’Iran si liberino dalla soperchieria dei turbanti e degli squadristi è stato e rimane il desiderio struggente di tanti della mia generazione. Un desiderio complicato, distante da quello di una rivoluzione. Una rivoluzione avvenne davvero nel 1978, improvvisa, enorme e irresistibile, nel giro di un anno si era mutata nel suo contrario. L’entusiasmo, più o meno fanatico, dei giovani militanti europei reduci recenti dal naufragio delle proprie speranze rivoluzionarie, cedette alla più profonda e incresciosa delusione, e a un angoscioso senso di colpa verso gli iraniani, le donne e i giovani, mortificati dal più ottuso dei dispotismi. Che Teheran liberata possa diventare per la seconda volta nella vita la meta dei superstiti di quella generazione, fatti sobri e rispettosi dei veri protagonisti, delle ragazze che hanno buttato via il velo e dei ragazzi che hanno inseguito i mullah e hanno fatto volare i turbanti con uno scappellotto, è un sogno seducente e pauroso. Quasi nove mesi fa, sbrigata sbalorditivamente la pratica libanese, Netanyahu fece il suo primo discorso da “liberatore” al “grande popolo persiano”. Gli risposero, donne coraggiose e perseguitate, che “nessun paese straniero può cambiare l’Iran, tanto meno uno stato che commette crimini a Gaza, in Cisgiordania e in Libano”. I boia facevano gli straordinari. Pezeshkian era già in carica e in due giorni, il 1° e il 2 ottobre del ’24, le impiccagioni furono 30. Non sono mai scese sotto la media di tre al giorno. Scrissi: “Chissà se Netanyahu, dopo essersi proposto al popolo iraniano come il liberatore, ha preso in considerazione la possibilità di bombardare, di precisione, una forca”. Chissà se qualcuno sta considerando di abbattere “chirurgicamente” i muri della prigione di Evin, in cui è chiuso il fiore di una futura classe dirigente del paese.



Intanto, un vecchio presidente americano laido quanto il vecchio ayatollah ha serenamente ordinato agli abitanti di Teheran, quasi venti milioni di persone, di evacuare la città. (Avrà saputo che il mare non bagna Teheran?) E il vecchio ayatollah ha fatto la voce grossa – vedremo fino a quando. Ragionare sugli avvenimenti è un’impresa derisoria. Abbiamo a che fare con ukase scadenti di ora in ora. Ma è certo che nel giro di giorni l’intera carta politica del medio oriente sarà cambiata. Parlo con un amico che vive per lavoro fra Teheran e Baghdad. E’ già cambiata, dice, in meno di una settimana. L’Arabia Saudita di Bin Salman sta a guardare con soddisfazione e continua ad aggiornarsi. In che cosa, chiedo, oltre che comprando il football mondiale? Già quella, dice, il campionato del mondo nel 2034, basta a revisionare gli orari del Ramadan, a commissionare interpretazioni innovative sugli alcolici. Hai visto, dice, che le milizie sciite irachene al soldo iraniano, Hashd al Shaabi e compagnia, hanno sgomberato Mosul e Kirkuk, e se ne stanno acquattate senza fare una mossa contro le basi americane? Che il già sanguinario Muqtada al Sadr, il capo sciita populista di Sadr City, titolare del primo partito nel parlamento iracheno – per il quale in teoria si rivoterà a novembre – ha proclamato che l’Iraq deve restare rigorosamente neutrale rispetto al conflitto israelo-iraniano? E nelle regioni sunnite molti islamisti, compresi gli avanzi del Daesh, danno segni di voler imitare la conversione dei qaedisti di al Jolani / al Shara in Siria? Perfino i curdi di Suleymania prendono con cura le distanze dal regime iraniano confinante, e i curdi iraniani aspettano l’occasione. Come loro le altre etnie, dagli arabi di Ahvaz ai baluci, e se si aggiungessero gli azeri, che sono la minoranza più numerosa… In Turchia, dove il Pkk ha preso la decisione di lasciare la lotta armata e di sciogliersi, Erdogan una settimana fa sembrava trionfare, e farà meglio a mettere la coda fra le gambe. La stessa Siria mostra di sentirsi meno in debito di quanto lui si aspetti, e in generale in tutto il mondo arabo l’atteggiamento verso Israele è molto più cauto se non riguardoso. E così fra i curdi siriani, i drusi… Gli oppositori iraniani hanno ragione di essere offesi dal bombardamento del loro paese, e hanno anche buone ragioni per non esporsi nel pieno dello scontro: i mojaheddin del popolo a suo tempo pagarono carissima l’accusa di essersi alleati in guerra con il nemico iracheno. Ma l’Iran è l’infezione dell’intera regione, rimossa quella l’intera geografia si rimetterà in moto fin dal malaugurato trattato franco-britannico, e sancendo il fallimento dei nazionalismi e dell’islam politico.



Teheran, dice, è popolata dalle genti più diverse. Se sarà necessario andranno via, torneranno alle loro città, saranno accolte dai loro villaggi. Il mio amico è ottimista. Io no, dico. L’età media in Iran è quasi la metà della italiana. Siete europei, vecchi, dice. Infatti. Non ho mai smesso di chiedermi che cosa è stato della giovane donna all’università Azad di Teheran, spogliata, i capelli neri sciorinati e le braccia composte sul petto, ripresa in un video prima di essere afferrata e portata via dagli uomini addetti alla virtù. Si chiamava, si disse, Ahoo Daryaei, che significherebbe più o meno gazzella di mare, studiava letteratura francese. Scrissi: “C’è un grande paese in cui un’ordinaria demenza si è impadronita delle menti e degli organi genitali di milioni e milioni di maschi da strapazzo, autorizzati dalla benedizione del matrimonio a ore ad andare devotamente a puttana, altrettanti casi clinici coagulati in un colossale caso clinico collettivo, contagioso, con appena un cambio di foggia al turbante o alla tonaca, a tanta parte del resto del mondo. Poi c’è quella indimenticabile giovane donna dalle braccia conserte, padrona dei suoi capelli”. Vorrei sapere dov’è.



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