A pranzo con Delrio: “La manifestazione di sabato è contro la Nato, il Pd ha sbagliato con la Cisl”

Il senatore dem: “Non sarò all’iniziativa contro il riarmo e con il sindacato c’è stato un errore di valutazione: nasciamo come un partito inclusivo di culture e con la vocazione maggioritaria, abbiamo fatto un regalo a Meloni”

“Ho tanti amici che sabato andranno in piazza, e ovvio che nessuno sia a favore della guerra. Però insomma la piattaforma di questa manifestazione rischia di essere contro la Nato e di riportarci a 30, 40 anni fa”. E il Pd? “Ah bella domanda, qualcuno ci sarà, ho letto. Io no”. Al ristorante del Senato il senatore Graziano Delrio, anima cattolica e moderata del Pd, non cerca polemiche con Elly Schlein. Sa che ormai il fumo della pipa gira così. Delrio, che in un’altra èra geologica chiamava Matteo Renzi Mosè, di tanto in tanto manifesta un certo fastidio per l’andazzo generale del partito in cui ha ricoperto ruoli di primo piano anche al governo. Preferisce spezzare un latticino con un grissino accompagnandolo con tre pomodorini.


Delrio pesa le parole come utilizza il sale: parsimonia e calma. Sbocconcella sul suo piatto come un’upupa. Lo raggiunge “il compagno” Tino Magni di Avs e c’è subito confidenza e affabilità, come quella che si può creare fra un dottore di Reggio Emilia e un sindacalista brianzolo. Si parla senza voler rilasciare chissà quali dichiarazioni dinamitarde sulle sfide della sinistra. Sul futuro del Pd e del campo largo, chiacchiere e filetti di orata in crosta di patate. Ecco a proposito di crosta c’è un fatto, questo sì, che sembra aver grattato, producendo più di un graffio, la corazza del pantheon del centrosinistra. Si parla del colpaccio di Giorgia Meloni con Luigi Sbarra: l’ex segretario della Cisl entrato nel governo con la delega di sottosegretario al sud. Un avvenimento che ha segnato il senatore Delrio. “Credo che sia giusto per questo Pd avere un sindacato di riferimento come la Cgil, capisco l’intesa con Maurizio Landini, ma bisognava tenere dentro anche la Cisl. Perché il Pd nasce con una vocazione maggioritaria, un contenitore di elaborazione politica con diverse posizioni figlie di duri confronti che alla fine non escludono altre culture”. L’ex ministro è convinto che la base della Cisl “sia ancora con noi e che sia diverso nell’orientamento dei quadri che invece si sono spostati”, dice all’altro commensale, Magni, che è stato anche segretario regionale della Fiom in Lombardia, prima di passare attraverso la trafila Comunisti italiani, Sinistra democratica fino a Sel e Sinistra arcobaleno. E’ una croccante discussione fra due reduci, solo che adesso il senatore di Avs sembra avere il sol dell’avvenire nel suo piatto, almeno a osservare il pentolone della coalizione guidata da Schlein. Al contrario di Delrio. “Per esempio è stato un errore, per quanto la destra lo abbia strumentalizzato, non abbracciare la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal sindacato. Perché immagino che la nostra posizione sia stata vissuta dalla Cisl, dai vertici del sindacato, come un atto ostile. Un errore”. Delrio fa parte di quella categoria di cattodem molto attiva al centro con convegni e seminari. Una sorta di rabdomante alla ricerca di una fonte vitale che forse nel bipartitismo 2025 nemmeno esiste più. “Meloni ha fatto un bel colpo con Sbarra e ha aperto il partito al centro davanti al mondo dei lavoratori e dei pensionati”.


In effetti del colpo di Sbarra se n’è parlato poco. Ma per esempio la settimana scorsa il super colonnello, di fatto generale di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, era davvero entusiasta del nuovo arrivo nella squadra di governo. Tanto da scherzarci su – a margine di un’iniziativa calorica e piacevolmente dionisiaca del suo ministero all’Italy major premier padel al Foro Italico – sul fatto che “alla fine siamo tutti democristiani in questo paese, io per primo”. In Senato si respira una certa sensazione di impotenza da parte delle opposizioni nei confronti di una maggioranza che alla fine dà le carte nel Palazzo e poi incassa ancora nei sondaggi. Delrio ha finito di spiluccare il suo pasto, con cortesia monacale si alza da tavola raccomandandosi di evitare inutili e roboanti titoli, per queste che sono le riflessioni di un senatore semplice. Ha nostalgia, da reduce del partito a vocazione maggioritaria, questo sì. Lo ripete. E forse anche per questo più volte si è sentito a disagio nel Pd. A volte lo ha detto, a volte lo ha tenuto per sé, altre lo ha condiviso con i commensali, spezzando grissini, come in questo caso. Per rompere la monotonia serve una provocazione: caro Delrio, il Pd è passato dunque dalla vocazione maggioritaria a quella ellytaria di Schlein? “Forse sì”. Ride e se ne va. A cuor pesante e stomaco leggero.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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