La rotta da cui passano la maggior parte degli idrocarburi del medio oriente è un’arteria insostituibile del mercato petrolifero globale. Se venisse bloccata sarebbe messo a rischio il 25 per cento delle forniture di petrolio mondiali trasportate via mare e il 20 per cento delle esportazioni globali di gnl
La guerra su vasta scala tra Israele e Iran ha acceso l’attenzione sullo Stretto di Hormuz, un’arteria insostituibile del mercato petrolifero globale. Il timore è che l’Iran, messo all’angolo dagli attacchi israeliani – sostenuti sempre più apertamente dagli Stati Uniti – decida di strozzare la rotta da cui passano la maggior parte degli idrocarburi del medio oriente scatenando una guerra regionale e uno choc sui mercati. La rotta è fondamentale e, a differenza del passaggio nel Mar Rosso, non ci sono alternative. Attraverso Hormuz passano le esportazioni di petrolio di Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait: circa il 25 per cento delle forniture mondiali trasportate via mare. Nelle prime ore dello scorso venerdì alla notizia dell’attacco israeliano il prezzo del Brent e cresciuto del 12 per cento passando da 70 a 78,5 dollari al barile, per poi chiudere la giornata a 74 dollari, quando è diventato chiaro che Israele non avrebbe colpito gli impianti petroliferi iraniani destinati alle esportazioni. Mercoledì il prezzo è salito di nuovo superando i 76 dollari, ma in generale i trader mantengono il sangue freddo, vista l’esperienza degli ultimi tre anni di conflitti, la vasta offerta disponibile e potenziale dell’Opec+ e di altri paesi (come Brasile e Guyana), e a fronte di prospettive di domanda deboli a causa delle tensioni geopolitiche e della guerra commerciale. I prezzi attuali sono infatti i più alti da febbraio, ma hanno invertito un trend ribassista che suscitava pessimismo. Per avere un termine di paragone, nel 2024 il prezzo medio del Brent è stato di 80,5 dollari, l’anno precedente 82,5. La rotta è preziosa anche per il mercato del gas. Circa il 20 per cento delle esportazioni globali di gas naturale liquefatto (Gnl) passa da Hormuz, principalmente dal Qatar ma anche da Bahrain, Eau e Kuwait. A salire è stato quindi anche il prezzo del gas in Europa quotato alla Borsa di Amsterdam (Ttf), da 37 a 40 dollari, in un periodo in cui il mercato è teso in vista della stagione degli acquisti per il ripristino delle scorte degli stoccaggi.
Teheran ha minacciato diverse volte di chiudere Hormuz e in passato ha provocato incidenti, ma storicamente la Repubblica islamica non è mai stata in grado di bloccare del tutto il passaggio delle navi, neanche negli anni ’80 durante la guerra tra Iran e Iraq, quando furono danneggiate o distrutte centinaia di navi, per lo più irachene. Impegnarsi a chiudere lo Stretto di Hormuz cominciando ad attaccare le navi in transito sarebbe l’azione più estrema che Teheran potrebbe intraprendere in questo momento, poiché innescherebbe la reazione immediata degli Stati Uniti e probabilmente l’allargamento del conflitto ad altri paesi. Secondo la società di analisi Kpler, in questo caso il Brent schizzerebbe sopra i 100 dollari al barile, mentre per Bloomberg arriverebbe addirittura sopra i 130 dollari. Tuttavia, data la presenza di forze armate statunitensi in medio oriente sarebbe difficile per l’Iran interrompere la navigazione per un periodo prolungato. Inoltre, questo è forse il fattore determinante, un tale passo di Teheran bloccherebbe le esportazioni di petrolio iraniano in Cina, un flusso di entrate in valuta forte indispensabile per la sopravvivenza della fragile economia della Repubblica islamica. In totale l’Iran esporta intorno ai 1,7 milioni di barili di greggio al giorno, una quota inferiore al 2 per cento della domanda globale. Di questi, il 90 per cento viene acquistato da piccole raffinerie cinesi indipendenti dalle compagnie statali, le cosiddette “teiere” della regione dello Shandong, isolate dal sistema finanziario globale e quindi al riparo dalle sanzioni secondarie statunitensi. Secondo il Wall Street Journal, se l’obiettivo di Israele è innescare un cambio di regime a Teheran, il governo di Benjamin Netanyahu potrebbe decidere di colpire gli impianti iraniani dell’isola di Kharg, da dove salpano la maggior parte delle petroliere iraniane. Questa mossa sconvolgerebbe però i mercati petroliferi e, oltre a Pechino, irriterebbe la Casa Bianca poiché farebbe aumentare l’inflazione negli Stati Uniti. Ma di fronte al blocco di Hormuz, un’azione israeliana di questo tipo diventerebbe giustificabile, mentre lo choc petrolifero, superata la prima durissima fase, verrebbe riassorbito dall’aumento della produzione dei membri dell’Opec+ (compresa la Russia) e dall’immissione sul mercato delle scorte degli Stati Uniti e dell’Agenzia internazionale dell’energia.