Uno scontro su Israele e Iran. Quando la deterrenza è autodifesa e quando rischia di diventare un pretesto

Il dibattito contrappone due visioni sull’attacco preventivo di Israele contro l’Iran. Il conservatore lo difende come risposta legittima a una minaccia esistenziale, vista l’aggressività del regime iraniano e il rischio imminente di un Iran nucleare. Il progressista, invece, lo critica come violazione del diritto internazionale, sostenendo che tale azione potrebbe radicalizzare il regime, destabilizzare ulteriormente la regione e delegittimare la diplomazia

Conservatore: Non riesco davvero a capire come si possa mettere in discussione la legittimità dell’azione di Israele. Abbiamo a che fare con un regime, quello iraniano, che da quarant’anni ripete ossessivamente che Israele va cancellato dalla carta geografica. Che finanzia e addestra milizie che lanciano razzi contro civili. Che sostiene apertamente Hamas, Hezbollah, gli Houthi. E che, secondo numerose fonti, è oggi a un passo dall’avere non una, ma quindici bombe nucleari. Quindici. Nessuno stato al mondo potrebbe restare inerte. Israele ha agito come qualsiasi stato razionale avrebbe fatto: prevenire una minaccia esistenziale.

Progressista: La questione è proprio questa: tu usi parole come “prevenire”, “minaccia esistenziale”, “razionale”, ma stai parlando in realtà di una guerra preventiva basata su un’interpretazione soggettiva delle intenzioni altrui. Nessuno nega che il regime iraniano sia repressivo, violento, ideologicamente pericoloso. Ma stiamo parlando di un paese che, piaccia o no, non ha ancora testato alcuna bomba atomica, non ha mai lanciato un’arma nucleare e, finora, era formalmente legato al Trattato di non proliferazione. Se ogni stato iniziasse a colpire gli altri sulla base di un “rischio percepito”, il diritto internazionale diventerebbe carta straccia.

Conservatore: Ma il rischio non è solo percepito: è documentato. Rapporti dell’Aiea, immagini satellitari, dichiarazioni di scienziati dissidenti: tutto indica che l’Iran è vicinissimo a dotarsi della bomba. E se questo accadesse, l’intero equilibrio del medio oriente salterebbe. Arabia Saudita, Turchia ed Egitto inizierebbero la loro corsa all’atomica. Hezbollah diventerebbe intoccabile. E Israele, già oggi isolato, dovrebbe vivere sotto una minaccia nucleare permanente. La tua è una visione che aspetta la catastrofe per accorgersi che era tutto vero.

Progressista: No, la mia è una visione che ricorda cosa succede quando si abbandona la diplomazia. L’Iran non è l’unico paese a voler un’arma nucleare per protezione. La deterrenza, nel bene e nel male, ha funzionato per decenni tra Stati Uniti e Urss, tra India e Pakistan. Tu pensi che un attacco militare possa fermare l’Iran? O, più realisticamente, radicalizzerà il regime, screditerà i riformisti, unirà la popolazione attorno alla leadership teocratica e darà nuova linfa all’odio verso Israele? Non esistono bombe chirurgiche nel cuore di una cultura martoriata.

Conservatore: Parli come se l’Iran fosse un normale stato-nazione. Ma l’Iran è una teocrazia rivoluzionaria. Non si accontenta della sopravvivenza: vuole l’espansione. Guarda cosa fa in Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen. Il suo obiettivo è esportare il modello khomeinista. E ora, se avesse la bomba, diventerebbe intoccabile. Chi oserebbe fermare Hezbollah, se il suo sponsor ha l’atomica? Chi garantirebbe la libertà di navigazione nello Stretto di Hormuz? Israele ha capito che questo è il momento decisivo. Chiudere gli occhi, adesso, significa trovarsi domani davanti a un Iran nucleare che nessuno potrà più fermare.

Progressista: Capisco la tua logica. Ma c’è una contraddizione di fondo. Tu difendi Israele perché è una democrazia, giustamente. Ma difendi anche il suo diritto a colpire chiunque consideri pericoloso, senza mandato internazionale. Non ti sembra un paradosso? Israele deve scegliere se vuole essere un baluardo dell’occidente o uno stato che agisce come le potenze autoritarie. E c’è un’altra cosa: chi garantisce che i servizi israeliani non stiano esagerando il pericolo per ottenere l’appoggio americano a un cambio di regime? Abbiamo già visto come è andata con l’Iraq nel 2003.

Conservatore: Non siamo nel 2003. E l’intelligence israeliana non è il Pentagono sotto Rumsfeld. E’ l’unico strumento di sopravvivenza di uno stato che ha conosciuto l’Olocausto e non vuole conoscerlo di nuovo. E poi, guarda la voce dei dissidenti iraniani: da Masih Alinejad a Ramtin Ghazavi, molti chiedono all’occidente di non restare neutrale, di aiutare a rovesciare la teocrazia. Se l’attacco israeliano indebolisce i Guardiani della rivoluzione e crea una crepa nel sistema, è un atto di liberazione, non di guerra.

Progressista: E se invece l’attacco rafforza i Guardiani? Se chiude ogni spazio per la protesta? Se, come spesso accade, la popolazione percepisce l’intervento esterno come una nuova umiliazione occidentale? Il problema è che questa logica del “colpire per fermare” non ha mai portato stabilità: in Iraq, in Libia, in Afghanistan. I regimi cadono, ma il caos resta. Chi garantisce che il giorno dopo l’Iran non diventi ancora più pericoloso, perché instabile e senza freni?

Conservatore: Chi garantisce che restando fermi non ci ritroveremo con una bomba atomica puntata su Tel Aviv? La verità è che la guerra è già cominciata. Solo che Israele ha deciso di non combatterla in posizione passiva. Tu chiedi a Israele di fidarsi della comunità internazionale. Israele guarda il Consiglio di Sicurezza bloccato, guarda l’Onu paralizzata, e dice: se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno.

Progressista: Ed è proprio questo il rischio: l’idea che il diritto di difendersi coincida con il diritto di attaccare. La tua logica è potente, ma è anche il preludio a un mondo senza regole. Dove chi ha paura, spara. Dove ogni conflitto diventa guerra totale. Israele ha diritto alla sicurezza, sì. Ma la sicurezza vera si costruisce anche con il controllo, con la proporzione, con la fiducia nella diplomazia multilaterale. Non con il culto dell’anticipazione armata. Perché quando tutti iniziano a colpire prima, non resta più nessuno da difendere dopo.

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