Con l’avvocato dell’Avvocato scompare un personaggio chiave dell’Italia della famiglia Agnelli, colui che ha consentito alla più grande, longeva e ricca casata del capitalismo italiano di tenere ancora insieme i suoi cento e più rami
Lo hanno definito l’avvocato dell’Avvocato, un facile gioco di parole che ha il suo fondamento perché è stato Gianni a chiamare Franzo Grande Stevens, morto oggi a 96 anni, alla corte degli Agnelli. In realtà era l’avvocato di famiglia, colui che ha consentito alla più grande, longeva e ricca casata del capitalismo italiano di tenere ancora insieme i suoi cento e più rami. Le due date fatidiche sono il 1987 e il 2005, momenti fondamentali nella centenaria storia dell’impresa di famiglia che, diceva egli stesso, è come una chiesa. Nel 1987 la Fiat aveva raggiunto il punto più alto del suo ciclo, era al primo posto in Europa testa a testa con la Volkswagen. Ma non era affatto scontato che il controllo restasse nelle mani degli Agnelli.
Grande Stevens introduce per la prima volta in Italia la società in accomandita per azioni, si chiama Giovanni Agnelli e C. (diventata poi di diritto olandese) è una cassaforte blindata per tenere insieme tutti sotto il comando dell’Avvocato e del fratello Umberto. Attraverso una cascata di scatole cinesi assicurava anche il controllo sull’intero gruppo Fiat. Nella società entrarono oltre ai fratelli Agnelli, il cugino Giovanni Nasi, Gianluigi Gabetti e Cesare Romiti allora amministratore delegato. In cima alla piramide una società semplice chiamata Dicembre nella quale racchiudere il patrimonio di Gianni e dei suoi eredi (oggi sono John, Lapo e Ginevra Elkann). Alla morte dell’Avvocato nel 2003 e di Umberto un anno dopo, l’intera cattedrale giuridica può crollare e a quel punto Grande Stevens con l’aiuto di Gabetti tira fuori il coniglio dal cilindro. L’azienda era stata salvata da un prestito di 3 miliardi di euro concesso da otto istituti di credito e nel 2005 arriva il momento di convertirlo in azioni: le banche sarebbero diventate le padrone della Fiat. Senonché arriva la Merrill Lynch che grazie a un precedente contratto stipulato dalla Exor (allora una piccola società francese della Ifi-Ifil, la finanziaria del gruppo), mette a disposizione una quantità di azioni che consente alla Giovanni Agnelli e C. di mantenere nelle sue mani il 30 per cento delle azioni Fiat. La Consob sostiene che siano state violate le regole del mercato reso ignaro di tutto, si finisce in tribunale, tra condanne e assoluzioni la vicenda si trascina per anni. Nel frattempo Exor diventa la plancia di comando nelle mani di John Elkann, mentre l’azienda rinasce sotto la guida di Sergio Marchionne il quale considerava Gabetti e Grande Stevens i suoi dioscuri.
Una figura chiave, dunque, un lavoratore stakanovista, un intellettuale poliedrico. Nato a Napoli nel 1928 con origini siculo-inglesi, la madre lo fa studiare dai benedettini di Montecassino, Franzo si laurea nella città partenopea e muove i primi passi nello studio di Francesco Barra Caracciolo, maestro di Diritto commerciale. Nel 1953 si trasferisce a Torino e qui viene “adottato” da figure di primo piano del Partito d’Azione: Piero Calamandrei, Alessandro Galante Garrone, Norberto Bobbio e soprattutto Paolo Greco: sarà il suo mentore e ne sposerà la figlia Giuliana morta l’anno scorso. Il primo incontro con Gianni Agnelli risale agli anni 60. L’Avvocato ha sentito parlar bene di lui (da Manlio Brosio nel cui studio Franzo lavorava) e gli affida la vendita di un’azienda di macchine utensili a un gruppo americano. Un test, ricorderà lo stesso Grande Stevens il quale a poco a poco assume un ruolo sempre maggiore, seguendo l’espansione della Fiat passata dalle mani di Vittorio Valletta a quelle di Gianni Agnelli. Ci sarà l’acquisto della Toro assicurazioni, l’ingresso dei libici nel 1976, operazione guidata da Enrico Cuccia che anche così acquista un ruolo sempre più importante, e più tardi l’accordo con la General Motors, un flop industriale, ma un capolavoro giuridico-finanziario (dovuto questa volta soprattutto a un altro avvocato, Paolo Fresco presidente della Fiat) che frutta due miliardi di dollari, il “tesoretto” che Marchionne metterà poi a frutto. Grande Stevens e Gabetti diventano i pilastri che consentono a John Elkann di consolidare la sua posizione anche durante la triste vicenda che vede la madre Margherita contro i propri figli, tra la Medea di Euripide e i “Parenti terribili” di Jean Cocteau.
Ricordare la vita di Grande Stevens è raccontare un pezzo d’Italia economica, intellettuale, politica con quel coté di cultura liberal-democratica che circondava Giovanni Agnelli, il fondatore della dinastia, anche durante il fascismo (si racconta che la sua prima camicia nera, indossata per l’inaugurazione di Mirafiori, fosse una camicia bianca tinta all’ultimo momento). Per fare altri due nomi, Franco Antonicelli, precettore del giovane Gianni, o Alessandro Passerin d’Entrèves, che avranno un ruolo importante nell’Italia post e anti fascista (e riempiranno le colonne della Stampa). Un humus nel quale Grande Stevens è cresciuto e ha operato in un paese che non esiste più.