La lunga consiliatura di Gualtieri e il guazzabuglio normativo

Le elezioni comunali di Roma si terranno nella primavera 2027, nonostante l’elezione dell’attuale sindaco nel 2021, a causa del rinvio elettorale causato dalla pandemia. La decisione è il risultato di un complesso intreccio normativo e politico e solleva interrogativi sulle reali intenzioni del centrodestra per il futuro della Capitale

Sono in molti a mostrare sorpresa nell’apprendere che a Roma si tornerà al voto nella primavera del 2027 e non nell’autunno del 2026. In effetti, il sindaco Roberto Gualtieri venne eletto a ottobre 2021 e, di conseguenza, potrebbe pensarsi che la scadenza naturale della consiliatura sia nell’ottobre 2026. Ma galeotta fu la pandemia che, nel generale clima di emergenzialità, portò il legislatore a posticipare le elezioni del 2020 e, per quanto qui interessa, quelle del 2021. All’epoca venne infatti adottato il decreto-legge n.25/2021 che derogando alla normativa elettorale degli enti locali, contenuta nella legge 182/1991, traslò le elezioni dalla primavera del 2021, naturale finestra elettorale, all’autunno seguente, prolungando artificialmente la vita della consiliatura precedente. Il dipartimento per gli affari territoriali del ministero dell’Interno, sollecitato da molti comuni, si è espresso dopo aver a sua volta interpellato l’avvocatura dello stato, in una di quelle labirintiche interlocuzioni burocratiche che tanto avevano solleticato la penna di Flaiano in “Diario notturno”. Il risultato è quello già accennato in apertura; si tornerà al voto nella finestra primaverile del 2027, a pochi mesi di distanza dalle elezioni politiche. Il ragionamento di avvocatura e ministero è abbastanza lineare: in assenza di una espressa previsione del legislatore dell’emergenza, che fece le pentole ma non i coperchi, non può che tornarsi alla ordinaria previsione della legge generale e alla scansione di finestre temporali che essa contiene.

Potrebbe dirsi che se si volesse, in termini di politica legislativa, sfruttare la finestra autunnale e non andare alle lunghe fino alla primavera del 2027 si dovrebbe ricorrere alla novellazione della legge di conversione del decreto-legge del 2021: ipotesi percorribile e che, politicamente parlando, converrebbe al centrodestra se fosse intenzionato a correre sul serio per il rinnovo della consiliatura capitolina. Perché frapponendo un maggiore arco temporale tra comunali e politiche eviterebbe esiziali riverberi di potenziali problemi capitolini sulla corsa elettorale per decretare la composizione del nuovo Parlamento, e di conseguenza del nuovo governo. Tutto questo però appare fantascienza, per due motivi. Il primo è evidente: la circolare ministeriale è già essa stessa espressione di una preferenza declinabile non solo in senso tecnicamente e aridamente giuridico ma anche politico. Una volta sollevata dai comuni la questione, il governo si sarebbe dovuto interessare delle potenziali esternalità politiche dell’iter da seguire. E non può escludersi che il ragionamento non sia stato svolto. Se non si è percorsa la strada dell’ortopedia normativa per rimediare alla oggettiva mancanza del legislatore emergenziale, è segno palese del fatto che alle latitudini governative le cose vadano bene così. E questo ci porta al secondo motivo che al primo è strettamente connesso: il centrodestra vuole davvero correre per scalzare Gualtieri e tentare di vincere? Qualche dubbio in realtà viene.

Come fu per la precedente tornata elettorale, definita dalla sequenza che vedeva prima le comunali e poi le politiche, è lecito pensare che anche questa volta il centrodestra seguirà lo stesso copione, puntando maggiormente sulle politiche. Magari tirando però fuori dal cilindro un candidato che non sia costitutivamente vocato alla cocente sconfitta. Innegabile che il centrodestra sia terrorizzato dall’idea di doversi insediare in Campidoglio: vedasi l’impalpabilità dell’opposizione all’attuale sindaco, un po’ per pax giubilare e per sindrome da “non disturbate il manovratore”, ma anche perché memori della precedente, traumatica esperienza, la destra romana sa che Roma potrebbe, governativamente parlando, riservare sgradevolissime sorprese. C’è però da dire che stante proprio il brevissimo arco temporale intercorrente tra comunali e politiche il centrodestra dovrebbe interrogarsi su quanto e come voglia perdere: perché rischia poi di pagare in chiave politica nazionale una eventuale batosta, sulla scia di quella precedente quando venne scelto Enrico Michetti. Del pari, non sarebbe male un’operazione di trasparenza e chiarezza alla cittadinanza sul prolungamento della consiliatura, che a oggi resta appannaggio solo dei tecnici e dei burocrati.

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