Le foglie di fico del campo largo spiegate con i silenzi su Kyiv

Per Gaza e non per l’Ucraina? Scendere in piazza contro Putin è l’unico modo che ha la sinistra per dimostrare di non essere solo chiacchiere e diversivo

Dopo Gaza, Kyiv? Superato lo scoglio del referendum, con una buona scoppola rimediata dal centrosinistra trasformata magrittianamente in una non sconfitta, ceci n’est pas une batosta. Superato lo scoglio delle amministrative, con qualche buon risultato portato a casa, da Genova a Ravenna passando per Taranto. Superato lo scoglio della manifestazione per Gaza, senza particolari infortuni da parte del centrosinistra. Superato, in altre parole, un periodo durante il quale il mondo politico progressista è stato impegnato su alcuni fronti complicati, dispendiosi, dispersivi, ci sarebbe una battaglia politica, coraggiosa, doverosa, necessaria, con cui il centrosinistra, il cui campo largo somiglia sempre di più a un campo stretto, potrebbe dimostrare di essere una forza pronta per arrivare al governo. La battaglia non riguarda l’economia, troppo complicata per l’attuale dirigenza del Pd, non riguarda l’immigrazione, su cui anche gli elettori del Pd come è evidente hanno idee diverse dal centrosinistra sui temi della cittadinanza, ma riguarda un tema su cui il mondo progressista dovrebbe trovare la forza di dimostrare di non essere, per dirla alla Metternich, solo un’espressione geografica. La parola chiave da mettere al centro è una e soltanto una e riguarda l’Ucraina.

Con malizia, e intelligenza, il nostro amico Michele Magno, giorni fa, aveva auspicato che dopo la manifestazione di protesta contro il massacro a Gaza non sarebbe stato disdicevole che i promotori di quella manifestazione avessero il coraggio di organizzarne un’altra contro il massacro in Ucraina. In teoria, gli argomenti – alcuni dei quali strumentali – utilizzati per Gaza dal campo largo potrebbero essere adottati facilmente anche per scendere tutti in piazza a favore dell’Ucraina. Basta guerra. Basta morti. Basta orrore. Basta tragedie. Basta martirio. Basta colpire i civili. E soprattutto, concetto che si adatta bene alla tragedia ucraina, basta pensare di lasciare solo, anche per un attimo, un popolo di eroi, che combatte per difendere i confini non solo di un paese sovrano ma anche delle nostre democrazie. Se volessero, se davvero gli azionisti del campo largo fossero desiderosi di combattere quello che l’Unione europea ha definito come qualcosa di simile a un atto di genocidio (risoluzione RC-9-2024-0143: le azioni russe in Ucraina, “l’eliminazione dell’identità nazionale ucraina e la cancellazione di cultura, Stato e lingua”, “equivalgono al genocidio, come definito nella Convenzione Onu”). Sarebbe bello immaginare, tutti insieme, Giuseppe Conte, Elly Schlein, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, su un palco in una qualsiasi piazza italiana, qualsiasi, riunirsi contro Putin, per difendere l’Ucraina. Sarebbe bello immaginare un viaggio in Ucraina, tutti insieme, per dimostrare che il centrosinistra che si candida a guidare il paese pur essendo diviso su molto non è diviso sulla difesa dei valori non negoziabili della democrazia (nessuno dei suddetti leader ha mai messo piede a Kyiv, per abbracciare Zelensky). E sarebbe bello immaginare magari, in mancanza di tempo dei suddetti eroi, anche solo un comunicato congiunto, o un tweet, o un selfie, per volare anche più basso.



Magari per esprimere la propria vicinanza al popolo ucraino e magari per esprimere la propria lontananza rispetto alla mattanza putiniana (un tweet o un selfie accompagnato magari da un post semplice: faremo tutto il necessario, per tutto il tempo necessario, per difendere la vostra eroica resistenza, non solo a parole, e con i selfie, ma anche con i fatti). Sarebbe bello, sarebbe un sogno, ma tutto questo sappiamo che non succederà. Perché per il centrosinistra parlare di Ucraina significa doversi guardare allo specchio e riconoscere che sui princìpi non negoziabili della difesa dell’Europa il mondo progressista non sa cosa indossare se non una qualche foglia di fico. Parlare di Ucraina è imbarazzante per il centrosinistra, per gli azionisti del campo stretto, perché significherebbe dover ammettere tutti i propri peccati. Significherebbe dover fare i conti con un elemento inquietante: il proprio pacifismo non è così distante da quello putiniano (e quello salviniano) perché in fondo sia i pacifisti italiani sia quelli russi chiedono all’Ucraina di non armarsi più e di smetterla di trovare inutili scuse per non far cessare la guerra (bandiera bianca la trionferà).

Significherebbe questo ma significherebbe dover fare i conti anche con un elemento altrettanto inquietante: che il riarmo più pericoloso che dovrebbe preoccupare le democrazie occidentali non è quello europeo, o quello tedesco, ma è quello della Russia, che dedica alla difesa il 7,1 per cento del suo pil (la media dei paesi Nato è intorno al 2 per cento, gli Stati Uniti spendono il 3,5 per cento per la loro Difesa).

Significherebbe poi anche altro, naturalmente, e significherebbe dover ammettere che per lottare contro i nemici dell’occidente occorrerebbe denunciare quel filo sottile che lega gli stati canaglia, che lega paesi come la Russia all’Iran, ma farlo ovviamente renderebbe più difficile la propria visione del mondo e significherebbe dover ammettere, per capirci, che chi lotta contro questi paesi, Israele compreso, lotta a favore della libertà. Significherebbe tutto questo, mettersi insieme e urlare viva l’Ucraina, e significherebbe anche dover ammettere, per fare un altro esempio, che l’impegno a favore della pace funziona solo in funzione anti americana, solo in funzione anti occidentale, solo in funzione anti colonialista, e significherebbe dunque dover ammettere, anche qui, che la lotta contro i così detti genocidi, parola che andrebbe comunque utilizzata sempre con il contagocce, funziona solo se il nemico contro cui combattere permette di coltivare i propri pregiudizi, il proprio istinto movimentista, le proprie pulsioni gruppettare. E se ci fosse una minoranza in grado di non farsi dettare l’agenda dagli azionisti del campo stretto potrebbe trasformare la difesa dell’Ucraina nella grande battaglia, anche di piazza, per provare a smascherare chi nel centrosinistra ha solo voglia di chiacchierare e chi invece ha voglia davvero di governare. E dunque, in definitiva, le ragioni per cui il centrosinistra, dopo aver manifestato per Gaza, non ha il coraggio di manifestare per Kyiv sono lo specchio di tutto quello che manca alla sinistra italiana per essere credibile, presentabile, in grado di porsi sulla scena come un’alternativa, e sono in fondo quelle ragioni lo specchio perfetto di una sinistra che cerca foglie di fico per coprire le sue nudità e le sue incompatibilità con un nemico ben più ostico del governo Meloni: semplicemente, la realtà.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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