Per otto mesi lo scrittore tenne una rubrica quotidiana. Un volume raccoglie tutte le uscite. Fascisti, comunisti ed esponenti del partito dell’Uomo Qualunque sono i protagonisti principali dei suoi brevi commenti
Per circa otto mesi, fra il settembre 1947 e il maggio 1948, Ennio Flaiano lavorò alla Voce Repubblicana. Ad assumerlo come redattore era stato Antonio Calvi, un giornalista entrato nel Pri alla fine del 1946 con un gruppo di esponenti della sinistra del Partito liberale e divenuto prima vicedirettore, poi direttore della Voce, salvo perdere il posto dopo le elezioni del 1948 per un dissidio con Randolfo Pacciardi. Con l’abbandono di Calvi, anche Flaiano lasciò il giornale.
Sulla Voce Flaiano tenne una rubrica giornaliera, intitolata Calendario, fatta di brevi commenti sui fatti del giorno o di polemiche su cose dette da uomini politici o giornalisti. Sono 196 i corsivi di Flaiano cui si aggiungono sette elzeviri, come si chiamava allora questo tipo di articoli, pubblicati, anch’essi anonimi, sulla Voce Repubblicana della domenica. Che Flaiano fosse l’autore del Calendario e di questi articoli fu attestato a suo tempo da Rosetta Flaiano, la vedova dello scrittore. Ora l’editore Luni ha pubblicato in un volume curato da Sara Battaglia i corsivi del Calendario e i sette elzeviri (Ennio Flaiano, Calendario e altri scritti della Voce Repubblicana, Luni editrice, Milano 2025).
Fascisti, comunisti ed esponenti del partito dell’Uomo Qualunque sono i bersagli preferiti da Flaiano nel Calendario. Un’ironia particolare è riservata agli intellettuali ed ai giornalisti, specialmente a quelli passati dal fascismo al comunismo. Curzio Malaparte è l’oggetto di due corsivi che sono fra i più spiritosi di tutta la raccolta. Nel primo, datato 18 novembre 1947, si legge: “Malaparte scrive da Parigi che ‘rientrando in patria, gli esuli antifascisti trovarono un’Italia ben differente da quella che avevano lasciato’. Esatto. Tra l’altro gli esuli antifascisti andando via lasciarono Malaparte fascista e tornando lo trovarono comunista”. Nel secondo, datato 17 dicembre, si legge: “da Parigi, Malaparte scrive al Tempo che il marxismo è destinato a risolvere i nostri fondamentali problemi. A questa affermazione molti lettori si allarmeranno, ma non sanno che, per suo costume, Malaparte è un tale che dice tutto. Se qualcosa poi si avvera egli può appunto dire di averlo detto. Disse persino che i nostri fondamentali problemi li avrebbe risolti il fascismo, poi disse che li avrebbe risolti la sconfitta militare, poi la vittoria, e così via. A Parigi dicono che Malaparte è un ramo dei Buonaparte che ha preso una cattiva piega”.
Vale la pena di leggere il Calendario del primo aprile 1948 dedicato a Massimo Bontempelli: “Scrive Massimo Bontempelli sull’Unità che ‘l’atto di iscrizione a un partito ha in sé qualcosa di religioso’. La prima volta che il Bontempelli sentì tale prepotente vocazione religiosa si iscrisse al partito fascista; la seconda al partito comunista. Non possiamo impedirci di pensare che un’ulteriore vocazione, complicata dalla sconfitta del Fronte, possa condurre il Bontempelli all’iscrizione nel partito democristiano. Ciò proverebbe una volta di più – se ce ne fosse bisogno – che le vie del Signore sono infinite”.
Il 24 aprile, pochi giorni dopo la sconfitta del Fronte popolare che riuniva il Pci e il Psi e il trionfo della Dc Flaiano annota: “Leggiamo qua e là dell’orrore provocato nei Frontisti dallo spettacolo dei malati, dei moribondi e dei paralitici che si sono recati alle urne il 18 aprile. Al tempo delle elezioni rumene ci toccò leggere su un foglio frontista di meravigliosi spettacoli di fede dati da elettori malati, moribondi e paralitici che vollero recarsi alle urne per la grande vittoria dei comunisti. Ma probabilmente la nostra citazione è capziosa perché in Italia si è trattato di malati, moribondi e paralitici semplici, mentre in Romania di malati, moribondi e paralitici progressivi”. E il 7 maggio del 1948: “Il Consiglio nazionale della Dc fra gli altri obiettivi per elevare il tenore di vita dei lavoratori ha indicato il conseguimento di una ‘politica emigratoria dignitosa e attiva’. Gli emigranti partiranno muniti di cilindro, di frac e di guanti gialli”.
Vale la pena, infine, di citare un passo di uno degli elzeviri dedicato all’abitudine degli intellettuali italiani di sottoscrivere manifesti: “In un paese in cui la rivista più grande e diffusa è il bollettino dei protesti cambiari si deve supporre che anche gli intellettuali, quando firmano i loro manifesti, sanno di potersi esimere dal pagamento alla scadenza, confortati in questa ipotesi dalla tradizione popolare”. Si potrebbe continuare, ma è meglio lasciare ai lettori il piacere di questo Flaiano “ritrovato”.