Il Rap e il congresso dei giovani azzurri: elogio inatteso di Fedez e Forza Italia

La democrazia è anche show, scontro, ascolto, vanità e coraggio

C’è una virtù perduta della politica, e si chiama sportività. E’ quella che consente a due avversari di confrontarsi senza insultarsi, di sedersi uno accanto all’altro senza fingere di essere d’accordo, di discutere – se serve, anche urlando – per il gusto di dire: io ci sono. Il congresso dei giovani di Forza Italia, tenutosi a Roma il 31 maggio, ha riscoperto questa virtù grazie a un invitato inatteso: Fedez.

Un rapper al congresso di un partito? La prima reazione, prevedibile, è stata il sarcasmo: “marketing”, “trasformismo”, “tutti contro tutti”, “siamo alla frutta”. Ma è proprio questa prevedibilità che andrebbe capovolta. In un’Italia in cui la cultura pop e la cultura politica si guardano in cagnesco da decenni – da Guccini contro Andreotti in poi – l’idea che uno dei volti più divisivi della scena musicale accetti l’invito di un partito fondato da Silvio Berlusconi, e che quel partito lo accolga senza censura, merita rispetto. Più ancora: merita un elogio.

Fedez ha fatto Fedez: ha provocato, ironizzato, parlato di salute mentale, di disagio giovanile, ha attaccato Travaglio e ha detto che non voterebbe nessuno. Perfetto. Non è un leader politico, è un artista, e gli artisti, se non disturbano, non servono a nulla. Ha detto che la sinistra non accetta il contraddittorio, che da destra riceve più risposte ai suoi inviti nei podcast che da sinistra. Non sarà una verità assoluta, ma è una verità vissuta. Ha usato la sua esperienza come lente per raccontare un paradosso: chi predica inclusione spesso esclude. Chi dice “dialogo” spesso scappa. Chi si dice “progressista” spesso non regge il confronto. E’ un’accusa scomoda, ed è bene che sia stata fatta proprio dove meno ci si aspetta.

Ma anche Forza Italia ha fatto Forza Italia: ha aperto le porte, ha difeso il confronto, ha incassato le critiche (anche a Berlusconi, anche a Sala, anche al centrodestra) senza strepiti, e ha dimostrato che la leggerezza è una forma di intelligenza. In un’epoca in cui molti partiti somigliano a circoli settari, e molti leader sembrano pensare che l’ascolto sia un segno di debolezza, il partito azzurro ha dato una lezione antica eppure modernissima: se vuoi parlare ai giovani, smetti di voler piacere. Lascia entrare chi è diverso. Scommetti sull’imprevisto. Sii capace di sopportare un ospite che ti dice in faccia: non vi voterò mai. Ci vuole forza per farlo. Non è un caso che sia toccato a Forza Italia. Perché, tra tutti i partiti italiani, è quello che ha fatto della contaminazione il suo stile originario. Un partito “ibrido” da sempre, che nasceva nel 1994 come esperimento liberale e televisivo, ed è oggi – senza nasconderlo – un contenitore pluralista in cerca di eredi, che si rivolge a un pubblico in bilico tra passato e futuro. Se a ospitare Fedez fosse stato il Pd, avremmo avuto polemiche infinite sulla coerenza. Se fosse stato il M5S, avremmo avuto un’operazione propagandistica. Se fosse stata la Lega, avremmo avuto imbarazzo e sospetti. Invece è stata Forza Italia, e c’era qualcosa di serenamente berlusconiano in quella scena: l’idea che la politica sia anche show, anche spettacolo, anche glamour, anche provocazione, ma che nel mezzo ci possa essere – perché no – una scintilla di verità.

Siamo abituati a pensare che solo chi ha il rigore ideologico possa dire cose sensate. Ma non è così. Il rigore, in Italia, è spesso solo la forma elegante dell’inerzia. Fedez ha detto cose vere, magari in modo scomposto, magari con tono da influencer, magari senza coerenza programmatica. Ma ha scosso un ambiente. Ha rimesso in moto il dibattito. Ha fatto parlare di politica a chi, da anni, non ne parla più. E lo ha fatto davanti a un pubblico che non lo idolatra: non i suoi fan, ma i giovani di un partito moderato e post-berlusconiano. Un rischio? Sì. Ma anche una scena perfetta per la democrazia.

Certo, si può obiettare che tutto questo sia solo un teatrino. Ma anche la democrazia, in parte, è un teatrino: è rappresentazione, è esposizione pubblica, è ritualità. Quello che conta è che qualcuno salga sul palco. E che quel gesto diventi un esempio. In un paese in cui ogni intervento è filtrato da uffici stampa e ogni comparsata è concordata in anticipo, vedere un artista pop mettersi in gioco senza filtri è già qualcosa. Vedere un partito accettare la sfida, è ancora meglio.

Il resto appartiene al folklore. E’ la prova che l’esperimento ha avuto effetto. Che ha disturbato. E che, quindi, ha funzionato. A chi ama la politica vera, questa storia dovrebbe piacere. Perché ricorda che la politica è fatta anche di gesti non previsti, di incroci pericolosi, di linguaggi che si sfidano. A volte, il dissenso è più utile del consenso. A volte, il coraggio conta più del programma.

La prossima volta toccherà a qualcun altro. Magari un intellettuale da invitare al congresso di Fratelli d’Italia. Magari un prete progressista alla festa dell’Unità. Magari un imprenditore liberista a un’assemblea Cgil. Non importa. L’importante è che la politica, se vuole sopravvivere, torni a mescolarsi con il mondo. Anche quello rumoroso, ambiguo, sbruffone e vitale della musica. Anche quello di Fedez. Anche quello di chi, come Forza Italia, ha il coraggio di dire: discutiamo.

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