Meloni tra Pis e Ppe

La vittoria dei sovranisti polacchi rilancia Ecr, ma apre un fronte con i popolari, a cui il partito dell’anti-europeista Nawrocki addossa tutte le colpe possibili in fatto di migrazione, multiculturalismo e liberalismo. Per i vertici di FdI a Bruxelles, però, il problema non si pone

Bruxelles. Per i vertici Ecr, il gruppo europeo di Giorgia Meloni, la vittoria del conservatore Karol Nawrocki alle presidenziali polacche è “ossigeno puro” che aiuta a riprendere fiato dopo la bruciante sconfitta di due settimane fa del romeno George Simion. Il risultato ottenuto dai sovranisti polacchi del PiS restituisce infatti energia al gruppo meloniano, da mesi incalzato a destra dal gruppo dei Patrioti, casa europea di Orbán, Salvini e Le Pen. Il voto però complica, e non poco, i rapporti col Ppe, ampliando anche all’interno di Fratelli d’Italia il divario tra chi vuol rimanere piantato nel solco del pensiero conservatore europeo e chi vede invece per FdI un lontano futuro nella famiglia popolare.



La campagna elettorale del PiS, infatti, si è basata tutta sull’assioma Ue = Ppe e von der Leyen = Tusk, addossando ai popolari europei tutte le colpe possibili in fatto di migrazione, multiculturalismo e liberalismo — insomma, il solito manuale di retorica anti-europeista. Altro bersaglio prediletto dei conservatori polacchi è stato il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, oggetto di attacchi continui ed eletto capro espiatorio di una retorica anti-tedesca rispolverata per l’occasione dagli alleati polacchi di Meloni.


Acredini che complicano i rapporti tra Meloni e i popolari. Avvisaglie di queste tensioni si erano già manifestate alla vigilia del voto, infatti, quando il premier polacco Tusk fece recapitare a Roma il messaggio che non avrebbe tollerato di vedere il candidato conservatore alla presidenza ricevuto nella capitale, come era appena accaduto con il rumeno Simion. “Ragione d’essere dei conservatori polacchi è distruggere qualsiasi relazione tra Ecr e Ppe, è nella loro natura, e Meloni deve trovare il modo di gestirli”, confessa infatti al Foglio un eurodeputato popolare del Nord Europa.



Per i vertici di Fratelli d’Italia a Bruxelles, però, il problema non si pone. “L’esito delle elezioni presidenziali in Polonia rafforza le politiche e l’idea originale di Europa a cui si richiamano i conservatori. Cioè una comunità di nazioni libere e sovrane che agiscono insieme su alcuni grandi temi, in base ai principi di sussidiarietà e rispetto reciproco”, spiega il capogruppo Procaccini. Parole a cui fa eco Fidanza, che infatti alza anche il tiro su Tusk, decretando che “dopo mesi di arroganza” la sua maggioranza è destinata “a entrare in crisi nelle prossime settimane”.



La distanza dal Ppe, d’altronde, in Ecr non è uguale per tutti. “Ecr è come un grande depuratore d’acqua, una specie di enorme spugna, che lentamente, vasca dopo vasca, depura i voti inusabili dell’estrema destra antisistema e li porta verso un bacino di acqua pulita, che è quello della governance europea”, spiega l’eurodeputato popolare. “Ognuno in quel partito è a una fase diversa di questo percorso: il PiS e i rumeni di AUR sono a un estremo, mentre, ad esempio, i fiamminghi dell’N-VA, partito del premier belga De Wever, o i cechi del premier Fiala, sono ormai a ciclo compiuto. Meloni sta in mezzo”.



A ciclo finito, però, non c’è necessariamente — come sarebbe logico pensare — un passaggio al Ppe. “Per fare previsioni sul futuro di Meloni basta guardare al premier belga”, suggeriscono dai popolari. Il liberale fiammingo Bart De Wever ha infatti distaccato il suo partito dalle posizioni separatiste che per anni lo avevano isolato dai popolari, e ha portato il suo gruppo su posizioni enormemente più vicine al Ppe che a quelle del PiS. Eppure, anche le ultime voci su un suo salto di gruppo sono state nuovamente smentite.


Quello che tiene i belgi dell’N-VA ben ancorati a Ecr è infatti un calcolo politico e di potere: poltrone di commissioni e sottocommissioni parlamentari a Bruxelles, che nel Ppe finirebbero divorate dai maggiorenti popolari e che invece in Ecr rimangono saldamente nelle mani dell’ala più governista del gruppo. Un calcolo che i meloniani a Bruxelles conoscono bene, e che spinge infatti gli eurodeputati di FdI a prediligere la scelta di puntellare il gruppo sovranista, in cui giocano da padroni, piuttosto che avventurarsi verso i popolari — da cui, peraltro, continuano ad arrivare segnali sul fatto che la tenuta di Ecr è più conveniente per il progetto di maggioranze variabili voluto da Weber. Partita da giocare, però, addomesticando le spinte estreme di chi in Ecr sta più a destra. Ed è proprio questa la missione del partito “spugna”.

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