Tutti i guai del centrodestra in stallo sulle elezioni regionali

In Veneto la Lega starebbe pensando di cambiare simbolo per non disperdere il consenso. In Toscana invece è FdI a dare le carte, mentre in Campania si profila il tutti contro tutti. A pochi mesi dalla chiamata alle urne, il quadro nelle cinque regioni al voto – più la Valle d’Aosta – è più incerto che mai

Com’è in stallo il centrodestra da Venezia in giù. Candidature a rilento, perdite di tempo, alleanze sulla graticola. E a pochi mesi dalla chiamata alle urne, il quadro nelle cinque regioni al voto – più la Valle d’Aosta – è più incerto che mai. Con il rischio concreto di arrivare nudi alla meta. O quantomeno solitari. Il chi fa da sé fa per tre in politica non vale. Lo sa bene chi all’opposizione invoca a gran voce il campo largo. Ma dovrebbero pure Meloni, Salvini e Tajani. Che indugiano, lasciano fare ai rispettivi luogotenenti. Cioè alla “naturale dialettica interna alla coalizione” (tradotto: sgambetti, tranelli e gonfiate di petto).

In Veneto per esempio il Carroccio è pronto a giocarsi il carico da novanta. Non è un mistero che qui il nome del segretario sia un richiamo flebile – per non dire un boomerang –, così il partito starebbe escogitando la gran mossa di marketing per la campagna elettorale: cambiare simbolo. Da “Lega Salvini premier” a “Lega Zaia”. Con tanto di lista civica aggiuntiva benedetta dal governatore uscente. Uno stratagemma per non disperdere il suo personale consenso, che infatti gli alleati temono. A partire da FdI: cedere in partenza la regione che più li aveva premiati al voto, per i meloniani sarebbe un’onta da scongiurare fino all’ultimo. Così intanto si aspetta. Perfino Salvini incalza: “Mi interessa che il candidato del centrodestra venga scelto presto in tutte le regioni”. L’unico che viene dato per scontato “è il presidente uscente di FdI: squadra che ha ben governato non si cambia” (anche se il profilo di Francesco Acquaroli è tutt’altro che granitico, mentre Matteo Ricci, lo sfidante in quota Pd, ha già iniziato a martellare sul territorio). Il teorema di Salvini – lui non lo dice, ma come se – vale soprattutto dove a governare è stata la Lega: quindi il Veneto, che nessuno vuole mollare. Situazione opposta in Toscana, con gli amministratori di Giorgia a dare le carte: se la candidatura di Alessandro Tomasi, vicino alla premier, non è stata ancora annunciata è per i prolungati sbuffi del Carroccio.

Soltanto lo scorso weekend, a una grande cena fiorentina, potrebbe essere arrivato il patto attorno al sindaco di Pistoia garantendo al contempo un ruolo di primo piano al generale Vannacci. Ma di ufficiale non c’è ancora nulla. Peggio va la Campania, dove si profila il tutti contro tutti: la Lega propone il deputato Gianpiero Zinzi, Forza Italia insiste per un candidato civico, FdI scalpita con il viceministro degli esteri Edmondo Cirielli. Che proprio al Foglio ha rilasciato dichiarazioni eloquenti: “Tra i nomi in campo, il mio è il più forte”. Punto. Mentre in Puglia la situazione è talmente astratta, ancora, da non varcare nemmeno l’anticamera del litigio. Un candidato sul tavolo semplicemente non c’è. Prima dovranno sbrogliarsi altre matasse, col rischio concreto di riconsegnare il tacco dello stivale al centrosinistra senza nemmeno provarci. Incognite da nord a sud. “Se non ci diamo da fare potremmo anche perderle tutte”, ammoniva Edoardo Rixi, dopo Genova. Nemmeno un grillo parlante leghista sta bastando a cambiare la rotta.

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