Tre anni di guerra, diciotto pacchetti di sanzioni. Tutto quello che Ursula non dice ma fa, da Nord Stream ai droni
Ursula von der Leyen lo ha detto con sobrietà, da Tirana, durante il summit della Comunità politica europea: “E’ in arrivo il diciottesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia”. Sembra una formula burocratica, ma è una dichiarazione di guerra economica a tutti gli effetti. Non è solo una questione di simboli. E’ una strategia. Il pacchetto numero diciotto chiude un ciclo che, con tutti i suoi limiti, ha saputo infliggere costi veri all’economia russa. Stiamo parlando di misure che hanno modificato le catene di approvvigionamento globali, che hanno costretto Mosca a vendere il suo petrolio con sconti forzati, che hanno tagliato fuori la Russia dal sistema finanziario occidentale, che hanno spinto l’Europa a emanciparsi dalla dipendenza energetica. La guerra di Putin non è stata fermata, ma è diventata più costosa, più isolata anche grazie a questi colpi apparentemente invisibili. Nel nuovo pacchetto c’è la messa al bando definitiva dei gasdotti Nord Stream 1 e 2. L’epoca della dipendenza energetica da Mosca è finita. E’ la chiusura di un’illusione durata vent’anni.
Altro elemento chiave: l’abbassamento del tetto al prezzo del petrolio russo. L’Unione lo aveva fissato nel 2022, con l’accordo dei paesi del G7, per colpire le esportazioni energetiche russe senza causare uno choc globale. Ora, la Commissione vuole stringere ancora. L’obiettivo è semplice: erodere i margini, rendere sempre più difficile per Mosca trovare acquirenti e trasportatori, costringere Putin a vendere a prezzi da economia di guerra. E qui si inserisce la mossa più interessante: il contrasto alle “navi fantasma”, la flotta grigia con cui il petrolio russo continua a circolare nel mondo eludendo le sanzioni.
Non è finita. L’Europa – ed è la vera novità – ha cominciato a colpire anche chi, pur non essendo parte del conflitto, aiuta economicamente e logisticamente l’aggressore. Nel mirino del nuovo pacchetto ci sono “le banche di paesi terzi che sostengono la macchina da guerra russa”. E’ un messaggio chiarissimo a paesi come la Turchia, la Cina, il Kazakistan: fare da ponte per eludere le sanzioni non è più una zona grigia. E’ complicità. E verrà punita. Negli ultimi tre anni, questa strategia ha avuto momenti alti e bassi, ma ha prodotto risultati. La Russia è tecnicamente ancora in grado di finanziare la sua guerra, ma lo fa con meno risorse, più ostacoli, più dipendenza da attori non occidentali. L’embargo sulle tecnologie dual use ha rallentato la produzione di armi sofisticate. I droni iraniani e i microchip cinesi che alimentano il fronte russo sono anche il frutto della resilienza del regime, ma anche della necessità: Mosca non produce più da sola le sue armi migliori.
In parallelo, l’Europa ha fatto un salto nel buio. Ha dovuto cambiare in fretta le sue fonti di energia, cercare gas liquido ovunque, firmare contratti a lungo termine con paesi come il Qatar, l’Algeria, l’Angola. Il prezzo è stato alto, ma il risultato è chiaro: nel 2021, il 41 per cento del gas importato dall’Europa veniva dalla Russia. Oggi è meno del 10 per cento. Le sanzioni non vincono le guerre. Ma le possono rendere non sostenibili. E soprattutto, raccontano una cosa importante: che l’Europa può combattere anche senza eserciti, può colpire senza sparare, può essere un attore strategico e non solo un terreno di gioco.