Il pensiero umano, atto creativo e irriducibile, rischia di essere soffocato dall’efficienza tecnica. Solo una chiara idea di uomo può guidare l’uso dell’intelligenza artificiale verso un futuro autenticamente umano
Platone, nel Fedro, usa il termine phármakon a proposito della scrittura, una tecnica che rappresenta sia un rimedio che un veleno per la memoria (e questo perché gli uomini invece di trovare la verità dentro se stessi diventeranno solo “sapientini” imbottiti di opinioni). Questa idea è stata ripresa da diversi filosofi contemporanei che si interessano della “tecnica” da un punto di vista tutto sommato realistico e che hanno sviluppato un approccio “farmacologico” alla tecnica, nella consapevolezza che non si può prescindere dalla sua ambivalenza. Stante il fatto che non c’è nulla di più importante del pensiero – in quanto il pensiero, ossia la comprensione concettuale delle cose, è ciò che, prima di tutto, perché da esso tutto discende, ci rende uomini – lo spunto del Fedro è senz’altro il punto di partenza fondamentale per riflettere sulla relazione tra pensiero e tecnica (intelligenza artificiale in questo caso).
Il pensiero ha bisogno di “spazio” per potersi svolgere. Il pensiero è un “atto creativo” e non fa in alcun modo tutt’uno con l’intelligenza. Se tutto fosse solamente “intelligenza” saremmo, potenzialmente, in un mondo perfettamente analitico e determinista in cui non esiste spazio per l’imprevisto, in cui con una potenza di calcolo sufficiente potremmo essere in grado di prevedere qualsiasi cosa accade, o addirittura accadrà, nel mondo. Non ci sarebbero più “eventi” ma solamente episodi di una trama già scritta e consumata prima di essere accaduta. Il pensiero, invece, è di per sé evento, ma non evento esterno all’umano bensì ciò che ne costituisce la trama e l’originalità. Il pensiero nasce essenzialmente da uno “sforzo”, da una ignoranza, ossia dal volersi dare ragione delle cose che non comprendiamo, dal tentativo di comprendere concettualmente qualcosa che inizialmente ci sfugge; qualcosa che “sentiamo” come da capire ma che ancora non comprendiamo con chiarezza. Il pensiero nasce appunto da questo sforzo di comprensione, che è di per sé interminabile perché c’è sempre qualcosa di nuovo che ci interroga. Anzi, il nuovo è tale proprio perché ci interroga emergendo dove prima sembrava non esserci nulla. Ma questa emersione, questa nascita avviene sempre nel pensiero: in questo senso esso è sempre anche un atto creativo.
Non c’è nulla per noi che non sia sempre e comunque pensato. La facilità con cui, attraverso la tecnica, è possibile richiamare istantaneamente ogni tipo di informazione (o di poterne comporre di “nuova” da quella già esistente) rischia di farci credere di poter dissolvere l’atto creativo in cui consiste il pensiero in una serie di “atti di richiamo” alla memoria di dati, ossia di soluzioni che quantitativamente risultano efficaci e “vere” ma che non arricchiscono realmente il mondo, ossia non forniscono nuove interpretazioni di esso: ma ogni interpretazione è una creazione. Questo atto creativo del pensiero è la ricchezza essenziale e l’unicità effettiva dell’esperienza umana, ma essendo anche uno sforzo ha bisogno di spazio in cui dipanarsi, o di farsi spazio. Ecco, la tecnica tende a sottrarre questo vuoto in cui poter effettuare un tale atto creativo; che è l’atto umano per eccellenza. Nel confronto con la tecnica ciò che è più importante è avere un’antropologia, ossia un’idea di cosa sia l’uomo. Un conto è ritenere che l’uomo sia pensiero e che questo atto creativo costituito dal pensiero sia ciò che vi è di più importante, e che il rilancio continuo di questo atto attraverso scoperte e innovazioni sia la sostanza stessa dello spirito umano; un altro è ritenere che l’uomo sia “un’intelligenza tra intelligenze”, e che la suprema consapevolezza starebbe nel fatto di “divenire tutt’uno con il respiro del mondo”, essere vivente tra gli altri esseri viventi.
La riflessione sull’AI, quindi, è forse la più grande riflessione che si possa compiere intorno all’uomo e al suo destino. E’ necessaria infatti un’antropologia chiara e poderosa per confrontarci con l’AI, per poterla sfruttare, per poter eventualmente evolvere con il suo supporto. Si tratta di una colossale gigantomachia tutta interna al pensiero. Perché l’AI in sé non avrà mai capacità stand alone di pensare, di creare ex nihilo, ovvero di decidere, che implica appunto la cesura totale con ciò che c’è. Ma le idee, ossia le diramazioni del pensiero, sono ciò che determineranno la funzionalità dell’AI e gli accadimenti che essa può determinare. Questo significa che la battaglia del pensiero, ossia la battaglia per l’idea antropologica di base che ruota attorno a cosa sia il pensiero, è la più importante che ci sia perché quella determinerà ciò che, a sua volta, determinerà le nostre vite. Se è probabile, come penso sia inevitabile, che l’AI svolgerà un ruolo sempre più imprescindibile nelle nostre esistenze, in ciò che sta a monte – il pensiero attraverso cui viene in-formata l’AI, il modo in cui la si addestra – l’idea su cosa sia l’uomo è quella in assoluto decisiva, da cui tutto discende.
Facendo un esempio dozzinale, se l’AI viene dominata, allenata/addestrata, dall’idea iper-ecologista che l’uomo sia sostanzialmente un parassita, allora magari dovremmo preoccuparci di un’AI strapotente che informata da quell’idea possa auto-programmarsi nel modo più efficiente per portare a compimento quell’idea che noi gli abbiamo dato: che l’uomo debba estinguersi e che il mondo sarebbe un posto migliore senza di noi. Diversamente se riteniamo l’esistenza umana una presenza strutturalmente creatrice che si pensa come progetto, ossia come manifestazione continua di sé nel mondo, come un porsi fuori di sé e oltre di sé, un trasformatore del mondo e delle cose, un’apertura al possibile che non possiamo conoscere, allora sarà interamente un’altra prospettiva. In questo senso la riflessione attorno all’idea dell’uomo, e a che cosa significa pensare, rimane il punto nodale attorno a cui si gioca l’intera partita della relazione con la tecnica e con il nostro futuro.