La scritta “Olocausto” apparve sulla copertina del “Guerin Sportivo” dedicata alla strage dell’Heysel di Bruxelles nel 1985. Lo sterminio degli ebrei era diventato, ed è ancora, la pietra di paragone di ogni male. E’ umano, ma il salto da un’associazione emotiva al parallelismo storico è molto pericoloso
Tra pochi giorni, il 29 maggio, fanno quarant’anni esatti dalla strage dell’Heysel di Bruxelles, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool in cui furono uccise trentanove persone e seicento rimasero ferite. Per l’occasione Emilio Targia di Radio Radicale ha aggiornato il suo libro Quella notte all’Heysel (Sperling & Kupfer). Conservo ancora (ero un piccolo juventino innamorato di Platini) il numero speciale che il “Guerin Sportivo” dedicò alla vicenda i primi di giugno del 1985. Sulla copertina c’era la fotografia di un tifoso in lacrime, la sciarpa della Juve posata sulle spalle come un talled, davanti al cadavere di un altro tifoso, e una grande scritta: “Olocausto”. Nella pagina del colophon, un auspicio solenne della redazione: “Mai più”.
E poi i resoconti dei cronisti, tutti spontaneamente, forse inconsapevolmente, modellati sullo stile della testimonianza dei sopravvissuti ai campi di sterminio: “Tacete, voi che non c’eravate, voi che non avete vissuto quelle ore di paura, voi che non potevate capire quale rabbia omicida stesse montando fra le migliaia di italiani confinati nella curva juventina”, ammoniva Italo Cucci. Marino Bartoletti componeva un racconto incredulo e martellante, ribattuto sull’incudine di un’anafora: ho visto, ho visto, ho visto… Erano i primi anni Ottanta, e sulla scorta del successo planetario di Olocausto, la miniserie della NBC del 1978, lo sterminio degli ebrei era ormai diventato la pietra di paragone di ogni male, il repertorio di parole e immagini a cui d’istinto si ricorreva a cospetto di qualcosa di orribile e di impensabile. E’ umano, è naturale che sia così. Guai però a compiere con leggerezza il passo successivo, quello che su un’associazione emotiva pretende di incardinare un’analogia storica. E’ uno dei problemi – non certo il maggiore – di quest’ultimo anno.